TÁR

regia: Todd Field
produzione: USA, 2022 – 158’
visto: Cinema Chaplin

Ennesimo titolo extra-large (due ore e quaranta) per un film oscuro, che dice e non mostra, scatena polemiche, lascia dubbiosi, e forse alla fine paga il prezzo di aspettative troppo alte.

Si dicono due cose di Tár: che Cate Blanchett si conferma una dea capace di ogni cosa e che il film sia una specie di manifesto contro il #metoo e la cancel culture. Sulla prima affermazione, nulla da aggiungere, è tutto vero. Sulla seconda invece vale la pena andare un po’ più a fondo.
Innanzitutto praticamente tutti i personaggi sono donne: la protagonista, la moglie, la figlia, l’assistente, l’avvocato e la giovane tentazione. Gli uomini con un ruolo sono tre: il mentore, il rivale e la vittima sacrificale.
Lydia Tár, nata Linda, è la direttrice della filarmonica di Berlino e ha raggiunto il successo e il gradimento del pubblico e dei media. Ha vinto tutti i premi possibili e sta per sigillare la sua carriera completando un ciclo di Mahler con la quinta sinfonia. Per un’ora la vediamo dominare la scena nella professione e nella vita privata. È sposata con una delle sue musiciste, che nella coppia è evidentemente la metà più debole. Hanno una figlia fragile, in balia di malesseri di varia natura, e vediamo che Tár soccorre anche lei.
In un ambiente iper-competitivo, gestisce i rapporti di lavoro con modi a tratti bruschi, aiutata da Francesca (Noémie Merlant, sempre più lanciata), giovane assistente che vive nella sua ombra sognando di ricalcarne le orme. Le lega un passato recente, condiviso con una certa Krista, altra allieva e aspirante direttrice, che anche se non viene mai mostrata, fa sentire la sua presenza attraverso una serie di e-mail che ne tratteggiano l’angoscia via via crescente. Il sospetto che Lydia Tár sia al centro di relazioni poco limpide prende forza quando alla Filarmonica si propone una bella ragazza russa che ha imparato a suonare il violoncello su YouTube. L’interesse che Tár dimostra per la nuova arrivata diventa subito evidente e il fatto che la sua inclusione nell’orchestra faccia parte di una più ampia riorganizzazione mette in gioco aspettative e desideri che rendono i rapporti nervosi.
Le cose precipitano quando i sospetti e le maldicenze diventano ufficialmente pubbliche e alle accuse si aggiunge il video manipolato di un ruvido confronto avuto con uno studente della prestigiosa Julliard sulla cancel culture, in cui la direttrice relativizza gli scrupoli del ragazzo mettendoli in una prospettiva storica.
Su questo passaggio esultano certe testate, e certe teste, che riconoscono nel personaggio della Blanchett una paladina libertaria arsa viva dalla moderna Laica Inquisizione. Se ci si ferma qui però, accontentandosi di aver trovato il lasciapassare per qualsiasi provocazione o licenza, si rischia di trascurare le tante contraddizioni che Todd Field dissemina.
Il film che ho visto io era particolarmente buio. Non so se dipendesse da quel cinema in particolare (dove non vado spesso) o se si tratti di una scelta precisa, ma in certe scene non si distinguevano i volti. Al di là della resa visuale, comunque, è proprio la storia a contenere molti lati oscuri che vengono lasciati all’interpretazione e alla percezione del pubblico.
La maggior parte delle polemiche attorno a Tár vertono sul fatto di aver rappresentato il personaggio di una lesbica come una dispotica che abusa del potere per soddisfare le sue voglie.
Di fatto però, se uno guarda bene il film, cosa vede davvero? Vede una donna che parte da una situazione di svantaggio (la casa dove è cresciuta è parecchio lontana dagli appartamenti in cui vive oggi) e che ha raggiunto una posizione di prestigio grazie al suo talento e alla sua dedizione. La vede comportarsi in modo brusco e autoritario, ma non certo di più o peggio di quello che ci si aspetterebbe da un uomo. La vede interessarsi a una ragazza che non se la fila e che, nonostante la formazione povera e i modi sgraziati, nasconde un talento indiscutibile. Vede che ha inviato una serie di e-mail per sabotare la carriera di Krista, e vede, ma solo da un sogno, che il rapporto aveva una qualche natura sessuale. E infine vede che chi le rinfaccia una mancata promozione, contava proprio sulla sua vicinanza per ottenerla.
Lydia Tár è davvero quello che si dice di lei? O il giudizio che la investe è influenzato dall’essere una donna, ricca e potente?
Todd Field costruisce una storia dove le cose che si dicono sono molte di più di quelle che si mostrano, e dove le cose che si mostrano devono essere in qualche modo interpretate.
Perché Tár si sveglia di notte inseguendo i rumori? Perché una donna atterrita dalla miseria della sua vicina di casa, si avventura in quel modo nello slum dove vive Olga? L’azione che compie Krista è responsabilità di Tár? Oppure soffre di un disagio che nessuno può curare?
Tutte queste domande Field le lascia agli spettatori senza dare nessun tipo di indizio. Ci sono dei fatti e ci sono delle interpretazioni, e il pubblico partecipa all’enigma alimentando il dibattito.
Non è un film facile Tár, che anzi, nel momento in cui comincia con i titoli di coda sembra chiedere di essere visto ribaltando i codici. La prima cosa che viene da pensare davanti alla scelta di anteporre questa parte che contiene l’elenco delle maestranze, è che si voglia riconoscere e sottolineare il ruolo di chi solitamente viene trascurato. Solo un eccesso di zelo quindi? Una premura organica al pensiero che sostiene il film? Oppure l’ammonimento a non dare nulla per scontato? Altra domanda a risposta aperta che accresce la perplessità generale che si coglie all’uscita dalla sala.
Nonostante la raffinatezza dell’impianto e la bravura stratosferica di Cate Blanchett che lo sostiene, quello che resta è un senso di oppressione che lascia spiazzati e provati.
Forse è troppo presto per giudicare un film così fortemente inserito nel suo tempo, forse ci vuole una distanza maggiore, o forse, più semplicemente, Todd Field ha preteso troppo da se stesso.

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