LA PERSONA PEGGIORE DEL MONDO

Regia: Joachim Trier
Produzione: Norvegia, 2021 – 127’
Visto: Lumiere

Dopo aver finito il liceo con voti altissimi, Julie si rende conto di non sapere ancora chi è, né cosa vuole. Per sua fortuna è brillante e carina abbastanza da trarre il massimo da quello che la sua età le offre. Alla soglia dei trenta ha cambiato tanti uomini e tante vite quanti tagli di capelli. Aksel però sembra proprio quello giusto: ha il tipico aspetto emaciato nordico, disegna fumetti irriverenti e la sua bolla è quella degli artisti underground, colti abbastanza da avere di che parlare, la sera, col bicchierone in mano. Ma i due si passano quindici anni buoni buoni, e prima o poi questa cosa salta fuori. Le discussioni si fanno più frequenti, il tempo passa, Aksel si afferma nel lavoro e cerca una stabilità che a Julie toglie il fiato. Lei scappa. Corre più forte che può, pur di restare dove si trova. Non è sicura, le sembra che ancora non ci siamo. Il lavoretto che si era trovata per pagarsi la scuola è diventato il suo lavoro vero. Ogni tanto pubblica qualche post un po’ spudorato. Sulla famiglia non ci si può contare. Prova altre strade. Una storia nuova. Il giovane Eivind sembra rispondere meglio alla sua spontaneità, li unisce una chimica fortissima e la stessa condizione esistenziale.
In una Oslo anonima e periferica, Joachim Trier ritrae una generazione costretta a godersi la vita rincorrendo l’imprendibile, come i topi nella ruota. Modella, una per tutti, un’eroina credibile, fallibile, irresistibile. Più Fleabag che Amélie, Julie non mette giudizio, non sceglie con cosa identificarsi, non vuole sentir ragioni, vuole sentire la vita agitarsi dentro le sue cellule, e viverla in ogni secondo con tutti i suoi sensi. Aksel è invece l’avatar della generazione prima: non è integrato come i genitori, non ha un lavoro di fabbrica o ufficio, è un ribelle fregato dalla sicurezza degli oggetti, che coi suoi fumetti incendiari scalda la tiepidità del parlar comune. Ma rispetto a Julie, Aksel razionalizza, cerca spiegazioni, parla di psicanalisi e vede un futuro. Aksel è per Julie anche il tempo che passa, che finisce. La sveglia che suona.
Il film di Trier è una commedia romantica dai torni agrodolci, che funziona alla grande fino a tre quarti, fin quando comanda una regia briosa che salta senza timori da Woody Allen a sequenze più calde, appassionate e passionali, talmente ben fatte da far dimenticare una certa prolissità.
Purtroppo però, come in un film di Ligabue, all’allegria insensata devono immancabilmente seguire angoscia e tragedia. In questo caso però lo scotto non si paga a una morale cripto-clericale, ma alla necessità di chiarire il punto di vista del regista, evidentemente non del tutto convinto di tutta questa libertà ad ogni costo.
Sia come sia, a un certo punto si prende una piega più drammatica che non giova all’equilibrio, o meglio, lascia primeggiare toni più cupi che forse smarriscono la misura ricercata da Joachim Trier.
La scena finale mostra infatti la protagonista che sembra aver compiuto il suo percorso di accettazione, ma il giudizio sul reale stato di appagamento acquisito è un’incombenza che viene saggiamente lasciata allo spettatore.
Il pregio migliore del film è proprio quello di proporre dei personaggi e delle situazioni credibili, senza però far cascare dall’alto nessun giudizio. Anzi, sentirsi “la persona peggiore del mondo” è in fondo l’unico giudizio che questi giovani, estremamente vividi e fallaci, sentenziano per sé stessi, sbalestrati da un mondo bulimico che offre di tutto, tranne la possibilità di saziarsi delle proprie vite.

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