HOUSE OF GUCCI

Regia: Ridley Scott
Produzione: USA, 2021 – 158’
visto: Lumière

Dopo un solo giorno di programmazione è già partita la caccia all’uomo contro un film che in molti trovano, per tanti motivi diversi, al limite dell’imbarazzante.
Io non lo so, appena uscito dal cinema ho pensato che sì c’è della gran cialtroneria, ma non è neanche malaccio.
Siccome di accodarmi al travaso di bile oggi non mi va, vorrei cercare una lettura più equilibrata.
Per riuscirci però è necessaria una premessa: nonostante si parli di personaggi reali e di fatti che in un qualche modo sono successi davvero, questo film viaggia lontanissimo da ogni pretesa di ricostruzione storica e di affidabilità; come tutti gli articoli stanno ripetendo infatti, è cosa nota che nessuno, dalla produzione al regista o a qualunque elemento del cast, si sia preso la briga di contattare chicchessia dei Gucci o dei coinvolti in merito a un qualche parere o ispirazione.
Quello che Ridley Scott fa, è prendere a grandissime linee la vicenda di Patrizia Reggiani, che scala l’impero della famiglia Gucci sposandone il rampollo, ma che poi non riuscendo a imporsi definitivamente finisce per commissionare l’omicidio del marito, e rileggerla nella forma di un Macbeth. Per farlo stravolge i luoghi, le date, i caratteri e le vite dei personaggi reali e li trasporta in un Italia immaginaria che ha negli anni’80 il suo baricentro.
Chi non conoscesse per niente la cronaca, o chi riuscisse a non sentirsi raggirato da certe soluzioni strampalate, riconoscerebbe due toni a contendersi il peso del racconto: uno sembra suonato da William Shakespeare e l’altro da Martin Scorsese.
Ci sono infatti un regno da conquistare, un erede riluttante, una moglie con la sete del potere, parenti serpenti, e c’è pure una maga. Ma insieme a ville e castelli ci sono anche abiti firmati, macchinoni, funerali, matrimoni, arie d’Opera, vacanze a Saint Moritz e un casino di super attori con il cognome che finisce in vocale.
Adesso io non ho idea di come possa essere venuta la versione doppiata in italiano, ma quella originale, l’unica che è stata vista prima del 16 dicembre, quella su cui si basano tutte le recensioni e le critiche fin qua, è caratterizzata principalmente dal modo in cui Scott fa recitare il super mega cast di cui dispone. Principalmente parlano tutti un inglese con forte accento e cadenza italoamericana, arricchito per gradire con delle mezze frasi in italiano che spuntano in maniera del tutto estemporanea. Praticamente parlano come me quando sono in vacanza.
Ma perché?
Forse in testa Ridley Scott legava così tanto questa vicenda al Cinema di Scorsese o di Coppola da non riuscire a discostarsene?
Chissà, fatto sta che questa scelta sposta la V.O. più dalle parti della farsa che della tragedia, nonostante le tutte ottime prove degli attori, da Lady Gaga e Adam Driver per i protagonisti, ma anche Leto e Irons, giusto Hayek un po’ così così, ma soprattutto Al Pacino. Al Pacino ho letto che c’è chi gli dà addosso per il suo Aldo Gucci, ma porca miseria c’è quella scena dove deve firmare e non vuole, e in quel momento te sei lì con lui a quel tavolo e tutto è improvvisamente così commovente e straziante, e cavolo, secondo me quella è una scena bellissima.
Poi sì, tutti ovviamente parlano della Reggiani di Lady Gaga, ed è in verità cosa buona e giusta, perchè anche se per tutta la prima parte Scott non fa che inquadrarle le tette, è certamente notevole il modo in cui passa da appetitosa a repellente man mano che il veleno del suo morso riempie ogni più piccola venatura di questo strano racconto pieno di crepe.
Se uno vuole può trovare davvero tanti motivi per offendersi e indignarsi della faciloneria con cui House of Gucci ad esempio fonde gli anni ’60 (le canzoni che sceglie) con gli ’80 (in cui sviluppa la trama), tralasciando totalmente i ’70 che invece avrebbero offerto tante chiavi di lettura per la psicologia di Patrizia Reggiani, oppure di come tutte le biografie siano state travisate e svuotate per essere riempite con pochi accenni caricaturali pur di ottenere figurine sopra le righe di più immediata lettura. C’è poi quella cosa di far morire Gucci a Roma invece che a Milano…mah.
Insomma tutto per enfatizzare, abbellire, addobbare una ricostruzione artefatta che ti porta quasi a credere che Lady Gaga, Adam Driver e Al Pacino non stiano solamente recitando così così i Gucci, ma che lo stiano facendo così bene da sembrare i Gucci che a loro volta recitano male il Macbeth, in un twist tragicomico del Cinema che si fa Vita che si fa Teatro.
Potrebbe anche esserci qualcosa di geniale in questo, possibile, ma poco plausibile visto il resto della filmografia del regista, massiccia e vigorosa di certo, ma ben poco raffinata.
Al di là di ciò che può infastidire il pubblico italiano dunque, bisogna vedere come il film verrà letto e accolto nel resto del mondo, perché immagino io che in tanti altri casi sarà successo a noi italiani di sorvolare bellamente sulle incongruenze di fatti che ignoriamo quasi del tutto, accontentandoci di farci intrattenere dal racconto.
In fondo c’è anche a chi è piaciuta quella cagata di The Death of Stalin, perciò…
Voglio dire, di sicuro Ridley Scott non ci fa una gran figura, ma se lo vedete doppiato, e se siete giovani abbastanza, magari non ve ne accorgete neanche.

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