
Regia: Wong Kar-wai
Produzione: Hong Kong, 1994 – 98’
visto su: Cinema Europa
Dopo In The Mood for Love, la rassegna della Tucker che riporta in sala alcuni titoli di Wong Kar-wai propone la quarta regia del cineasta hongkonghese, riconosciuta dai fan come un piccolo cult necessario.
La particolarità sta nell’essere quasi un b-side nella filmografia del regista: doveva essere una raccolta di tre episodi, da girare nelle pause di lavorazione del film precedente, ma poi il progetto si è sbilanciato per risolversi in un dittico, in cui a una prima parte decisamente più ispirata e solida ne segue una più simpatica e leggera.
L’intersezione sta in un piccolo ed eclettico fast-food di Chungking, popoloso quartiere della popolosa Hong Kong, dove si servono i due protagonisti maschili, in entrambi i casi poliziotti.
Il primo agente, matricola 223, è il classico sbirro solitario che parla da solo e insegue i delinquenti per la strada. È stato appena lasciato da una ragazza che si chiama May, come il mese che sta per cominciare, perché guarda caso lei l’ha scaricato il primo di aprile, e allora lui per trenta giorni raccoglie ananas in scatola, la cui data di scadenza tenga il conto fino al Primo Maggio, MayDay, appunto. La sua strada si incrocia con quella di una misteriosa femme fatale; parrucca bionda e cerone, impermeabile e occhiali neri, tutto quello che si sa di lei è che di lei è meglio non sapere niente. Di certo è tostissima e pronta a tutto, e a dispetto dei lineamenti orientali, invece del cantonese o del mandarino preferisce l’inglese, lingua franca sicuramente più appropriata alla babele dei suoi illeciti intrallazzi. Anche lei, come 223, con le scadenze ha dei problemi che possono solo peggiorare.
Questo tema delle scadenze, delle date che si avvicinano, delle coincidenze e di personaggi con più numeri che nomi, è uno dei sottotesti più interessanti del primo episodio, che in un appassionato omaggio agli stilemi del noir classico, tra i fumi delle sigarette e le note lamentose di languidi smooth jazz, nasconde frequenze inquiete che risuonano dell’incertezza che vive la stessa Hong Kong. Il film è infatti del 1994, a ridosso della scadenza del secolare mandato britannico sulla città che la riconsegnerà alla Repubblica Popolare Cinese.
Col secondo episodio si cambiano toni e stile, un nuovo direttore della fotografia spazza via le nubi e la pioggia, e il poliziotto, che stavolta si chiama 663, appare da subito più inquadrato, sempre in divisa, fidanzato con una bella hostess con cui passa pigri pomeriggi godardiani, ha pure dei colleghi che pranzano con lui. Dura poco, però. La sua bella lo pianta lasciandolo stordito a parlare in mutande con gli oggetti inanimati. Buon per lui che la nuova commessa del fast food (quello di prima, piccolo ed eclettico) se lo prende a cuore e si affeziona, al punto da entrargli in casa di nascosto per condividere con lui almeno la solitudine. E sono infatti la paura di restare soli e la voglia di innamorarsi il tema del secondo capitolo, e lo struggimento plumbeo delle blue note è sopraffatto dal volume altissimo di uno stereo che passa a nastro California Dreaming.
Rispetto alla prima metà, più costruita e ricca di sottotesti e impreziosita anche da un montaggio bello sostenuto, la seconda si dimostra più spontanea e naif, proponendo un cinema che premia l’idea e l’incanto sulla scrittura perfetta. Nel descrivere i sentimenti dei personaggi, Wong Kar-wai sacrifica senza rimorso la verosimiglianza degli eventi per favorire la suggestione di una ragazza innamorata che scivola sempre più nella vita di un uomo senza che lui se ne accorga.
Anche perché quello che vuole raccontare non è la nascita di una relazione ma il suo vagheggiarla.
Faye adora immaginarsi nella vita di 663 di nascosto, ma cosa farà quando e se verrà scoperta?
663 è ancora talmente abbattuto dall’abbandono della sua hostess da non riuscire vedere altre ragazze attorno a sé.
I colori più vivaci, e l’aspetto e la simpatia di Faye Wong e Toni Leung Chiu-wai (protagonista anche di In The Mood for Love e praticamente di tutti i film di Wong Kar-wai ) fanno prevalere l’ironia sulla paura, e un vento di speranza carezza due giovani che prima di scegliersi dovranno vedere cosa c’è dentro ai propri desideri, magari anche solo per metterseli via, ma più che altro per sapere chi sono davvero.
Pur con stili di racconto diversi, la regia di Wong Kar-wai si affida a contrassegni caratteristici per legare insieme due storie che forse sono lati diversi dello stesso sogno: la pioggia, il ralenty, i vetri che si frappongono tra chi guarda e l’immagine osservata, sono elementi che tornano per cucire tra loro gli stessi stati d’animo e le stesse riflessioni che attraversano personaggi coinvolti in vicende diverse.
Nato come progetto secondario, Hong Kong Express trova nella sua estemporaneità il carattere per resistere al tempo e diventare un piccolo classico, nel quale ritrovare gli aspetti più amati di un cinema in cui atmosfere e sensibilità delle grandi metropoli orientali incontrano un linguaggio più europeo, in special modo quello della Nouvelle Vague francese, latrice di una libertà stilistica con la quale andare alla ricerca del senso dell’individuo anche nella confusione di un mondo globale post-ideologico e alienante.