
2 gennaio 2020
regia: Rian Johnson
produzione: USA, 2019 – 131’
È stato uno dei film delle feste, uscito all’inizio di dicembre, come un paio di anni fa lo è stato Assassinio sull’Orient Express di Kenneth Branagh. Che il divertente mistery di Rian Johnson cerchi di abbracciarsi stretto a tutto ciò che sa di Agatha Christie non è un segreto, e il titolo scelto per la versione italiana serve solo a ribadire l’ovvio. Quello americano invece, Knives Out, sottende più a una resa dei conti, o a una situazione parecchio affilata, e il concetto è fissato nel film anche da una strana installazione composta dalle lame concentriche di tanti coltelli che incombono sui personaggi.
Fatto sta che in una vecchia villa vittoriana, avvolta nella nebbia dell’umida campagna, viene rinvenuto il cadavere sgozzato del celebre romanziere Harlan Thrombey, anziano patriarca di un impero famigliare di ricchi e avidi eredi, ognuno dei quali nasconde un segreto che li rende tutti sospetti e sospettosi.
Non è certo un lavoro per degli sbirri normali, e infatti viene incaricato – non si sa da chi – un detective eccentrico, famoso per risolvere casi difficilissimi grazie a un mix di talento e istinto.
Tutti gli elementi concorrono insomma a un rito magico teso a resuscitare quel buon vecchio giallo british capace di ipnotizzare il pubblico con intrighi e false piste.
Nel 2019 però, quasi duemilavventi, le classiche ruggini dinastiche devono essere contaminate dai temi dell’attualità, perciò tra le pieghe del misterioso omicidio si infilano l’immigrazione, le serie tv, le badanti, le droghe leggere e quelle pesanti, e tutto viene mischiato insieme a vecchine sorde, passaggi segreti, un testamento e una scacchiera.
Dal fricandò ottenuto vien fuori un film che vivacchia e piacicchia un po’ a tutti, a patto di restare nell’alveo del citazionismo e del divertissement a tema, perché la trama gialla vera e propria è in realtà poca cosa, e soprattutto viene svelata troppo in fretta, privando la seconda metà del film della benzina necessaria, e lasciandolo procedere per inerzia verso un finale stiracchiato che cerca di allungarsi con qualche sequenza avventurosa poco in armonia con la prima parte. Accettando le regole del gioco però non si può non godere dell’istrionismo del super cast raccolto per l’occasione (anche qui in linea diretta con l’Orient Express), un mix affiatato di vecchi leoni e giovani tigri che estende al piano attoriale la staffetta tra i generi e le atmosfere messa in scena da Rian Johnson, che cura regia e sceneggiatura di un progetto particolarmente sentito, che diverte evidentemente se stesso quanto il pubblico, e che riesce a offrire uno show dedicato agli amanti delle detective story e perfetto per una serata rilassata e senza pretese.