Joker

il

3 Ottobre 2019
Regia: Todd Phillips
Produzione: USA, 2018 – 123’

Come si fa a diventare il criminale più pazzo di Gotham? Ad esempio bisogna prendere mazzate per una vita. Bisogna vedere ogni aspettativa disattesa, essere deluso da tutti, bisogna coltivare una diffidenza profonda, bisogna sentirsi così perduto da non sapere né volere più distinguere il bene dal male.
Arthur Fleck non si fa mancare nulla di tutto questo.
Dalla prima inquadratura, che lo vede di spalle, in una stanza spoglia, mentre un ponte di acciaio incombe dalla finestra, si capisce subito come tutto lo schiacci e gli pesi, come la città stessa, ingombra di rifiuti e invasa dai topi, lo soffochi. Sognando la stand up comedy, Arthur tira avanti mascherato da pagliaccio per le pubblicità, le feste o varie attività benefiche. Offre al mondo un sorriso timido, ma in qualunque contesto si ritrova un perdente; viene travisato, bullizzato, e quando va sotto stress esplode in una risata isterica incontrollata di cui si vergogna e alla quale prova a opporsi con spasmi dolorosi. E allora giù altre mazzate.
E ogni volta per terra, sempre più in basso, sempre più in fondo.
Il Joker di Todd Phillips e Joaquin Phoenix riscrive le origini della nemesi di Batman raccontando questa lenta e impietosa caduta, e adattando al personaggio alcuni spunti familiari e altri più estranei alla mitologia consolidata. Svincolandosi dalle dinamiche supereroistiche, gli autori ambientano la storia in un passato in cui Bruce Wayne è ancora un bambino e i suoi genitori sono ancora vivi. La Gotham City degli anni ‘Ottanta è una città senza un simbolo e senza una traiettoria morale, che spinge i suoi abitanti gli uni contro gli altri, comprimendo gli spazi ed esasperando gli animi.
Un teatro adatto a un film duro, che parla più di alienazione che di violenza e che inquadra la follia del Joker in una cornice di rabbia sociale e rivolta di classe.
La trattazione matura e realistica (con tutti i distinguo del caso) è il segno che marca la distanza dal tipico cinecomic, Marvel in particolare ma anche da quelli DC che spesso hanno cercato una vena più dark, e probabilmente lascerà stupiti gli spettatori occasionali poco avvezzi al fumetto e quelli propensi a un approccio più classico e edulcorato.
Chi invece certe commistioni le ha già masticate e digerite da tempo, o chi è stato convinto dalle lodi, veneziane e non, si troverà forse nell’imbarazzo di non riuscire a prendere una posizione netta sul valore di questo film.
Personalmente sono rimasto perplesso, ma il mio giudizio in parte è influenzato dall’essere stato per anni un lettore di Batman, e di portare perciò al cinema tutto un bagaglio di aspettative e di schemi con cui è inevitabile fare i conti.
Giudicare un film sulla base di quello che uno vorrebbe o non vorrebbe vedere però, ha poco senso, perché è una pratica che scavalca ogni analisi centrata su quello che si è effettivamente visto, per andare a risolversi direttamente nel campo di quello che non si è visto, ma che si sarebbe voluto vedere, cioè su una cosa che di fatto non c’è.
Perciò lasciando fuori dalla porta ogni pregiudiziale e guardando il film in maniera più sciolta, bisogna dire che trova una chiave convincente, sfrutta spunti interessanti e che in buona sostanza funziona bene nonostante si prenda certe libertà nel far procedere la trama.
Eppure anche così non si può tacere sul fatto che, come si dice, c’è un elefante nella stanza: un elefante molto grosso che si chiama Re per una notte.
Re per una notte (The King of Comedy) è un film del 1983 di Martin Scorsese in cui Robert DeNiro interpreta un uomo un po’ emarginato, che vive con la madre e che sogna a tal punto la stand up comedy da arrivare a molestare un famoso presentatore televisivo di cui è un fan ossessivo.
Una trama e un personaggio che hanno parecchio in comune con il Joker di Todd Phillips, dove è proprio lo stesso Robert DeNiro a interpretare il comico famoso che ispira le meste serate di Arthur Fleck.
La presenza di DeNiro (e di Scorsese a vario titolo tra i produttori) e gli ulteriori generosi riferimenti a Taxi Driver pongono la questione.  
Anche se siamo da un pezzo nell’epoca del post-qualunque-cosa, dove dal citazionismo all’omaggio, al remake, al reboot, vale tutto, una scelta così radicale incide profondamente sull’effetto che il film ha in chi lo guarda.
Persino lo spettatore più occasionale o distratto sa già prima di entrare in sala che il protagonista subirà una qualche evoluzione, che non potrà di certo morire durante il film, e che non ci sarà nessuno scontro finale con un qualche super-tizio.
Le soluzioni che restano aperte sono pertanto quelle suggerite dall’ambientazione e dall’evolversi della storia, che scena dopo scena, se ne guarda bene dall’allontanarsi dalla strada già tracciata dal modello scelto, che in questo caso non è il film di supereroi ma il crime drama urbano degli anni ‘Settanta/’Ottanta.
Il risultato è che chi riconosce gli originali può tranquillamente immaginarsi già dalla prima inquadratura cosa aspettarsi per le restanti due ore, che infatti trascorrono confermando ogni congettura, indebolendo il mordente di certi passaggi cruciali, che vengono quindi soccorsi dalla sottolineatura di una colonna sonora fin troppo esuberante.
Fortunatamente il tutto è retto dall’imprescindibile interpretazione di Joaquin Phoenix, in una parte, quella del Joker, che se da un lato può presentarsi facile perché giocata spesso sopra le righe, dall’altro con gli anni è diventata un ring prestigioso e impegnativo dove misurarsi con grandissimi attori che ogni volta hanno saputo valorizzare e arricchire il ruolo.
Phoenix è davvero molto molto molto bravo, la sua risata nervosa e angosciata è la cosa che funziona più di tutto, e per intensità, sensibilità e quell’impressione di sacrifico che trasmette, si candida con prepotenza e giusti titoli all’Oscar. Purtroppo negli ultimi anni si è fatto vedere già diverse volte nei panni del borderline, e nonostante l’ampia gamma di sfumature che riesce a metterci ogni volta, il rischio di essere ripetitivo contribuisce alla sensazione di deja-vu di tutta l’operazione.
Il film resta comunque sufficientemente potente da appagare pienamente, in virtù del protagonista fortemente iconico, dell’atmosfera coerente e indovinata, e delle immagini intense che il regista sa cogliere e scegliere.
In conclusione forse sarebbe il caso di sospendere il giudizio e di valutarlo alla distanza, lontano e filtrato dal battage e dalla nube di interferenze che oggi lo accompagna.

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