
07 Settembre 2019
Regia: Pietro Marcello
Produzione: Italia, 2019 – 129’
Martin Eden è la storia di uno che voleva tanto scrivere
delle recensioni di film, ma non aveva fatto le scuole e era ignorante come un
tombino, perciò lo perculavano spesso. Gli dicevano “ma che vuoi tu? Che sei
ignorante come un tombino!” eccetera. Allora un giorno si è aperto un blog e ha
cominciato a fare lo stalker e a spammare da tutte le parti. Poi a un certo
punto s’innamora di una che però lei…
No, aspettate un attimo, questa è un’altra storia.
Martin Eden è la storia di un marinaio che voleva tanto scrivere, ma non aveva
fatto le scuole, perché era povero, e era ignorante come una gomena, erano in
pochi che lo perculavano però, perché a quelli che ci provavano lui gli menava.
Poi a un certo punto conosce e si innamora di una, la ricca figlia di una ricca
famiglia, estranea a lui in tutto, negli usi, nei pensieri, persino nella
lingua. Il povero Martin è subito stregato dalla raffinatezza che il mondo dei
ricchi sembra emanare, e decide di impegnarsi totalmente per colmare il vuoto
di istruzione che lo separa dalle sue ambizioni. Martin è affascinato, ma è
anche affascinante, e la sua bella accetta di buon grado di sostenerlo nello
sforzo di istruirsi per divenire finalmente uno scrittore come si deve.
La storia di Martin Eden viene da un romanzo di Jack London che si svolge ai
primi del Novecento a San Francisco.
Il regista Pietro Marcello invece ambienta il suo film nella Napoli degli anni
‘Ottanta, e questa è di sicuro la trovata che lo rende così particolare e
interessante.
Al di là dell’ennesima bella prova di Luca Marinelli (che vale la pena
sottolineare nonostante la tentazione di smarcarsi dagli incalzanti cori
estatici), senza lo stile e gli accorgimenti del regista casertano, la
pellicola rischierebbe di confondersi con produzioni più televisive, invece,
mischiando gli elementi del romanzo con atmosfere più familiari, il taglio
sociale del racconto viene attualizzato, avvicinandolo allo spettatore, allo stesso
tempo la presenza di agenti estranei al contesto, ma specifici dell’originale
di London (penso ai nomi americani di certi personaggi), disorienta il
pubblico, che si interroga sulla ragione di certe scelte.
Un leggero smarrimento accentuato dalla creazione di un senso di atemporalità
in netto contrasto con la collocazione temporale piuttosto esplicita.
Il tempo della storia scorre infatti apparentemente lineare, seguendo l’età
adulta del protagonista, ma gli innesti di tre linee temporali (e insieme tematiche)
lo espandono in un arco che abbraccia almeno un paio di secoli.
Queste tre linee temporali/tematiche si distinguono grazie a particolari
effetti, e sperando di non apparire grossolano, azzardo una personale
interpretazione.
Le sequenze anni ‘Ottanta sono fortemente caratterizzate dalla resa di colori
poco sfumati e di contrasti accesi, vengono introdotte da canzoni pop
dell’epoca e mostrano scene di vita urbana che sembrano prese pari pari dal
repertorio RAI di quegli anni. Tratteggiano il mondo reale, coevo a Martin
Eden, e ricordano a chi guarda che anche nel periodo glorioso del pieno
benessere, una fetta importante di popolazione sempre rimane indietro.
Delle tre, sono quelle più corpose (mentre le altre due si risolvono in una
sorta di flashback), e sembrano suggerire che mentre fuori riverbera l’edonismo
e spinge l’individualismo, Martin a Napoli si sente imprigionato in una società
ferma, che vive nel passato.
Ci sono poi delle sequenze virate in seppia, dove scorrono immagini di miseria:
denti marci, valigie di cartone legate con la corda, brutte fazze e corpi
scheletriti. Rappresentano il mondo di povertà e fatica da cui Martin proviene
e da cui fugge (è pur sempre un marinaio). Non si tratta esattamente del suo
passato, ma del retroterra a cui appartiene e dal quale vuole a tutti i costi
emanciparsi.
L’ultima linea, rispetto alle altre meno temporale e più tematica, è quella
delle sequenze virate in ciano, che rappresentano il mondo delle ambizioni e
dei desideri di Martin: infatti si vedono antichi velieri, e giovani che
nuotano, e tanto tantissimo mare, tutti simboli di libertà, vigore, avventura e
successo.
Si tratta quindi di un film complesso, ricco di immagini dense e di simboli da
decifrare, e tra l’altro non per tutti questi simboli la spiegazione sembra a
portata di mano.
Ad esempio c’è una guerra che aleggia ma che si fa fatica a inquadrare: stando
al romanzo potrebbe essere la prima guerra mondiale, ma poi compaiono dei
balilla, poi invece sembra una lotta di classe in cui si esplora il senso di
ingiustizia e la distanza che separa i ricchi dai poveri, ma è più probabile
che alla fine siano solo gli echi di un conflitto interiore che incombe sulle
intenzioni di Martin, che nella sua evoluzione sposa la causa socialista ma la
combatte dall’interno poiché non concilia il desiderio di giustizia sociale con
il discioglimento dell’individuo nella massa.
L’attrattiva di Martin Eden, il tratto che differenzia la sua storia dalla
consueta parabola del povero proletario “underdog” che vince il campionato, è
l’intima ambiguità che lo muove. In polemica con il suo protagonista (e in
accordo con London), Pietro Marcello non si limita all’encomio degli sforzi,
ma, in maniera un po’ compiaciuta, rigetta i panni puliti e stirati del virtuoso,
rivelando come la passione impetuosa per la scrittura equivalga in verità alla
passione impetuosa di emergere e di conquistarsi un posto al sole (visto che
siamo poi sempre a Napoli). Martin Eden è in fondo un individualista, è lui
stesso a dichiararlo orgoglioso, e il giudizio del regista – non certo
partecipe di questa posizione – accende su quello che apparentemente è un eroe,
una luce che svela gli aspetti rancorosi di un carattere arrivista.
Il film si immerge poi nella psiche del protagonista in una seconda parte
enigmatica, che gioca sul filo tra realtà e immaginazione, raccontando eventi
che potrebbero essere la normale cronaca di anni realmente vissuti da Martin
Eden, oppure un sogno generato da una particolare condizione emotiva.
Senza anticipare nulla della trama, gli elementi che personalmente mi fanno
propendere per la dimensione onirica della conclusione sono diversi:
innanzitutto il fatto che in effetti in questa parte del film si avverta un po’
di fatica, le cose che succedono non sembrano seguire una successione naturale,
ma più che altro danno l’impressione di una carrellata di punti in cui mentre
Martin si toglie diversi sassolini dalle scarpe, fissa alcune tesi in modo
piuttosto arbitrario. Un altro indizio che lascia sospettare é che gli abiti
dei personaggi femminili non cambino nonostante cambi radicalmente il contesto
in cui si muovono, come se queste donne fossero congelate nell’idea che Martin
ha di loro. Allo stesso modo, ad eccezione del protagonista che subisce una
certa trasformazione, nessuno degli altri personaggi sembra accusare più di
tanto i segni del tempo, come se la loro presenza a quel punto della storia
fosse una proiezione più che altro di certi ruoli invece che di vere persone.
Ad ogni modo non si può dire con certezza, poiché il regista non si sbilancia
né in un senso né nell’altro, limitandosi a prolungare la doppiezza di sensi e
di ambientazione che fa parte del film dall’inizio.
Volendo sintetizzare un giudizio in poche righe, Martin Eden è un ottimo film
d’autore che non smette mai di lavorare, girato con mezzi che possono attrarre
un pubblico più vasto di quello delle sale d’essai, ma la cui densità e
lunghezza potrebbero forse affaticare chi è abituato al pilota automatico
tipico di un certo cinema italiano senz’altro più prudente.
Bella recensione, grazie! Questa rilettura di Jack London sembra davvero interessante!
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Grazie mille!
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Finalmente ho visto il film! Ammetto che la sua atemporalità non mi abbia convinto troppo, mi ha confuso più che altro. Però il film è ben fatto, e la trasposizione alla Campania dalla California effettivamente funziona!
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