
2 maggio 2019
Regia: Louis Garrel
Produzione: Francia, 2018 – 75’ –
Non mi viene per niente facile recensire L’Uomo Fedele.
Ci sono delle cose molto chiare in questo film e delle cose più nascoste.
Le cose più chiare riguardano il genere a cui appartiene e la tradizione alla quale guarda.
Innanzitutto è una commedia sentimentale che scaccia ogni malinconia, perché anche senza essere comica, vuole fortissimamente restare leggera, in un modo limpido e luminoso, allontanando da sé ogni ombra.
Poi è evidentemente e in ogni momento un film d’autore, nel senso che per come è fatto e per come è scritto, incarna molte delle suggestioni che il solo nome di Louis Garrel scatena, giocando sull’indotto delle sue origini nobili e su tutto il buono che finora ha fatto per conto suo.
Un’altra cosa piuttosto chiara è che è inequivocabilmente un film francese.
Sotto i tetti di Parigi, Abel e Marianne vivono insieme già da qualche anno. Però tra dieci giorni lei si sposa con un altro. Un amico di Abel. Perché è incinta. Capito come? Lui incassa da gran signore, poi passano gli anni, e Abel e Marianne trovano il modo per riavvicinarsi. Però ora ci sono anche Joseph, il figlio di Marianne, e la giovane Eve, sorella proprio di quel famoso amico di Abel, e da sempre innamorata di lui.
Nasce un triangolo, ma non come ce lo si aspetterebbe.
Vien fuori invece una cronaca intima a tre voci che indugia su diverse sfumature dell’innamoramento: l’infatuazione adolescenziale, la bruciante delusione, la maturità di un sentimento che sa mettersi alla prova nonostante i timori.
Il racconto vive teneramente dei dubbi e delle insicurezze dei protagonisti, sfiorando appena la serietà ma non rinunciando mai a un portamento lieve e disinvolto, che incarna un certo spirito caratteristico e ricorda, senza forzare riferimenti cinefili fuori dalla mia portata, atmosfere romanticamente parigine, magari anche più torbide, e un carattere generale che verrebbe da dire un po’ guascone, tanto per usare una parola in bianco e nero.
A parte la presenza/assenza del rivale di Abel, un altro mistero che percorre questo film ha a che fare col tempo: rimanere sotto l’ora e mezza di durata è ormai una rarità anche per i film di animazione, eppure qui i settantacinque minuti tra l’inizio e la fine della storia riescono magicamente a dilatarsi nella parte centrale, un effetto ottenuto non si sa bene come, forse giocando sul ritmo in cui le cose succedono e poi rallentano, scandendole con dialoghi acuti, confessioni sofferte e trame gialle all’acqua di rose.
A ingannare il tempo aiutano senz’altro i primi piani contemplativi delle star ingaggiate, tutte ricche di quello charme che risplende naturale nell’eleganza di Laetitia Casta, nelle ombre beffarde di Garrel e nel viso pazzesco e misterioso di Lily Rose-Depp, in cui in ogni inquadratura si riconoscono forti e chiari i tratti degli iconici genitori, come in un quelle fotografie con due primi piani sovrapposti.
Un’impressione di confronto che se proprio non è stata cercata, sicuramente è consapevole nelle intenzioni dell’autore, e che viene capitalizzata felicemente, poiché il tema dell’eredità, familiare ma anche e soprattutto artistica, è il filo (neanche tanto) nascosto di questo secondo lungo(?)metraggio firmato da Louis Garrel. Il suo personaggio infatti si trova d’improvviso alle prese con un figlio, simpatico e brillante ma a volte fastidioso come una scheggia di legno piantata sotto l’unghia, in una relazione stimolante ma impegnativa, e d’altro canto la sua regia dialoga con un immaginario e una cinematografia con cui accetta di fare i conti ma dalla quale non vuole farsi schiacciare.
Tanto per giocare a unire i puntini, si può far finta di chiudere il cerchio supponendo non casuale il battezzare Marianne il personaggio della Casta, obbligando in un certo senso lo spettatore a ricordare l’eredità di fascino e carisma che ha legato l’attrice ancora giovanissima all’ingombrante simbolo addirittura di tutta la Francia.
Sotto questa luce si potrebbe quindi spiegare anche il titolo, che parallelamente alle vicende dei personaggi, suggerisce nella fedeltà alle proprie origini la strada per raggiungere una maturità artistica e sentimentale.
Inutile dire che il film è piacevolissimo e godevole, e che ben si presta a queste giornate di tempo così così.
Mentre tutto intorno è pioggia, pioggia, pioggia e Francia.