10 cose da non fare quando perdi il tuo cane a Cipro

22 Aprile 2019
Regia: Marios Piperides
Produzione: Cipro, 2018 – 92’
Non so se succede anche a voi.
Dove lavoro io c’è uno sgabbiotto all’ingresso, con una sbarra, con uno che si sente una guardia che quando arrivo in Vespa vuole sempre che mi fermi e che poggi il piede per terra prima di alzare la sbarra.
Tutti gli altri suoi colleghi, quando arrivo, siccome lavoro lì da un pezzo e siccome mi conoscono, quando mi vedono arrivare alzano la sbarra un po’ in anticipo, soprattutto quando sono quasi in ritardo, soprattutto quando piove.
Quello lì invece no, vuole proprio che mi fermi, soprattutto quando sono quasi in ritardo, soprattutto quando piove.
Voglio dire subito che c’ha poi ragione lui, che coi tempi che corrono, se sei una guardia, o se ti credi una guardia, e ti danno da amministrare una sbarra, bisogna che il tuo lavoro lo fai per bene, che sei scrupoloso, che sei inflessibile e che sei sicuro che chi entra entri piano piano, si faccia riconoscere e non crei pericolo per nessuno.
Torna a casa, Jimi! Parla se vogliamo anche di queste sbarre, di queste guardie, dei confini immaginari e imposti e delle conseguenze di tenere dentro o fuori le persone in modo arbitrario.
Intanto siamo a Cipro, l’ultima capitale divisa, come si ricorda spesso nel film. Ovviamente tutti sapete perfettamente la situazione politica dell’isola, divisa in due comunità di etnia Greca e Turca, da una “green line” pattugliata dall’ONU che si frappone alle due frontiere militarizzate. (Se volete poi approfondire i motivi storici e addentrarvi nelle polemiche del caso, ci sono un sacco di pagine di Wikipedia che ne parlano benissimo.)
Il protagonista è Yiannis (Adam Bousdoukos. “Chiii?” Il cuoco di ‘Soul Kitchen’. “Aaah!”) che abita nella parte Greca e che vive un po’ come John Belushi: (ex?) musicista, si sveglia male, fuma una cosa che non si capisce, esce di casa in ciabatte per pisciare il cane Jimi (per via di Jimi Hendrix).
Si vede subito che è nei guai perché mentre cerca di non farsi vedere dalla sua ex e da un paio di strozzini il cane gli scappa. Nella zona Turca. Yannis allora segue il cane, e segue anche tutta una serie di eventi per riportarlo a casa, perché ci sono dei regolamenti Europei che vietano di trasportare animali e vegetali da una parte all’altra.
Un’azione piuttosto semplice viene dunque ostacolata in ogni modo da tutto un sistema di frontiere e doganieri che rimbalzano il protagonista e gli amici che man mano raccoglie nell’impresa. Non mancano ovviamente un’ex-fidanzata stracarina, che al precariato ha preferito la villa con piscina e la Bmw, il truce contrabbandiere, e l’alter ego del protagonista dall’altra parte del fosso, il colono Hassan, nato nella Cipro Turca, nella casa che la sua famiglia ha occupato dopo l’invasione. Il suo status è quello più paradossale e più drammatico: il territorio Cipriota occupato dai Turchi non è riconosciuto da nessuno Stato o organizzazione, i suoi residenti sono sprovvisti di documenti e di fatto impossibilitati a lasciare l’isola. Gli stessi Turchi quasi li rinnegano, considerandoli cittadini di serie b, appena un gradino sopra gli immigrati.
L’intento di far emergere le conseguenze di una frontiera militarizzata è senz’altro lodevole, di questi tempi è un gran bene che ci sia qualcuno che si tiri su e faccia presente a tutti quelli che parlano di muri, di confini, di bandiere e campanili, che cosa vuol poi dire vivere in uno Stato in cui si è sempre dietro a chiedere il permesso per qualcosa, in balia di guardie che nell’abuso di potere ci sguazzano, incattivendosi per partito preso con quelli che abitano “dall’altra parte”. E sono pregevoli anche tutte le scene ambientate nella zona cuscinetto, dove si mostrano con la padronanza del fotografo le macerie delle case colpite e abbandonate, e che oggi rappresentano la ruvida cicatrice che divide l’isola di Cipro.
Il regista infatti viene dai documentari, e si appoggia al canovaccio classico dei road movie per toccare temi spinosi a lui cari, purtroppo però nel farlo si dimentica di stare girando una commedia. Il trasporto verso gli aspetti politici sembra distrarlo dall’esplorare a dovere i lati comici offerti dalla storia, e il risultato è che anche se mantiene un tono leggero sin dall’inizio, non riesce mai a esplodere in momenti davvero divertenti, dilatando troppo i tempi e incastrando nella vicenda momenti riflessivi che appaiono posticci. Il suo film da spesso la sensazione di sganciarsi da sé, di sfilacciarsi in direzioni poco chiare, e a poco serve il tentativo di smarcarsi dal cliché con un finale che porta in sé una punta di amarezza.