
25 Gennaio 2019
Regia: Yorgos Lanthimos
Produzione: Grecia, 2018 – 120’
Arriva l’attesissimo ultimo film firmato da Yorgos Lanthimos, cineasta greco che, con un pugno di titoli radicali in una decina d’anni, si è conquistato un bel pubblico di seguaci e un posto di tutto rispetto sulla scena europea, e che quest’anno prova a fare lo stesso con Hollywood sospinto da dieci candidature ai premi Oscar. Tutte categorie di peso, tra l’altro: miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista per Olivia Colman, miglior attrice non protagonista sia per Emma Stone che per Rachel Weisz, miglior sceneggiatura originale, miglior fotografia, miglior montaggio, migliori costumi, miglior scenografia. Davvero tanta roba, soprattutto per un film che seppur più lineare e ironico dei precedenti, conserva la tendenza a farsi capire poco, ad attirare lo spettatore nel gioco dell’interpretazione distraendolo con scene enigmatiche e movimenti di macchina acrobatici.Per questo episodio Lanthimos sospende infatti la tradizionale collaborazione col fidato Efthymis Filippou, rinunciando alle tipiche atmosfere macabre per adottare la sceneggiatura di Deborah Davis e Tony McNamara che, rivisitando un po’ gli eventi storici, racconta di come dietro avvenimenti clamorosamente pubblici si muovano vizi privatissimi. All’inizio del 1700 Anna è la Regina zoppa di Gran Bretagna, ultima della sua casata, marcescente al punto da non lasciare eredi: diciassette tra figli e gravidanze, diciassette morti. Costretta tra i Tories e Whigs, i partiti che polarizzano il regno, la sua leadership non è quella della monarca assoluta ma quella dell’arbitro che appoggia ora l’una ora l’altra parte. Inadatta alle decisioni e alle responsabilità, si affida totalmente al giudizio fermo di Lady Sarah Churchill, amica di infanzia e Duchessa di Marlborough, che nello specifico desidera a tutti i costi prolungare la guerra con la Francia. Per garantirsi la posizione, quest’ultima spinge forte sulle insicurezze della sovrana, isolandola il più possibile, allontanandola dai condizionamenti esterni e portando l’intimità del loro rapporto ben oltre il lecito. Nell’esclusivo ménage entra a gamba tesa la deliziosa Abigail Masham, lontana cugina di Lady Marlborough, finita da anni in miseria e adesso impegnatissima a rincorrere il riscatto sociale partendo dall’ultima casella, cioè dalla condizione di serva. La competizione tra le due giovani accende un corrosivo scambio di cortesie che passa dai piccoli dispetti al dramma, senza mai perdere l’ironia acida del regista greco. Un triangolo lesbico in costume settecentesco lascerebbe pensare a un film pieno di malizia e sensualità, in realtà qui di erotico non c’è proprio nulla, e la storia è condotta da dialoghi fitti e taglienti che la rendono psicologica e paradigmatica. Il sesso infatti, pur essendo il quadrato su cui le tre eccezionali protagoniste combattono, è sempre solo parlato, evocato, mai mostrato. Vale per gli uomini che lo minacciano, e per le donne che lo promettono, ma per queste in maniera speciale, essendo di fatto il loro unico strumento di potere. Il desiderio è un mezzo per scardinare equilibri, una tigre da cavalcare per addomesticare il potere, per manipolare animi malfermi. E sebbene in tanti vi abbiano voluto vedere molto femminismo, riconoscendo alla Regina e alle sue ancelle una fantomatica vittoria morale su un mondo di maschietti insulsi e vanesi, in conclusione, nonostante il carattere caparbio e il loro valore, tutte e tre saranno sconfitte da quel mondo meschino e molle. La trama conduce lo spettatore all’interno di una piccante faida, ma le scelte stilistiche rimarcano la natura sostanzialmente privata di questa guerra, in forte contrapposizione con lo sguaiato ambiente che la contiene. Sposando il gusto del dettaglio eccessivo e i vortici del Barocco, la lente di Lanthimos deforma gli spazi abitati da un circo di personaggi che dirli decadenti è fargli un favore, restituendo la visione di una mosca, o di una telecamera a circuito chiuso, di un occhio alieno che spia e giudica i vizi indecenti e le grasse piaghe che nessuna pomata può più curare. Dentro le stanze della Regina le dame si azzuffano tra arazzi sontuosi e ceramiche pregiate (finalmente scopriamo a cosa servivano tutti quei vasi vuoti), ma da quel lussuoso seminato non escono mai, poiché fuori da quelle stanze, separate da infiniti corridoi e oscuri passaggi segreti, si agitano e comandano Lord, Marchesi e Ducaconti; persi in giochi sciocchi e crudeli, tra oche piccioni conigli e cristiani, i signori di coorte ingannano il troppo tempo con svaghi che mettono in luce il putridume dell’aristocrazia che porta avanti il Regno. Imprigionate tra la servitù e i veri padroni, alle donne del film non resta che sbranarsi tra loro, arrendendosi alle conseguenze più amare delle loro macchinazioni (tuo il coltello, tua la ferita) e coltivando la massima aspirazione di farsi sposare da qualcuno che le sistemi. La fellatio simulata che chiude con ruvido sarcasmo sigilla il concetto che è solo l’uomo ad avere il dominio. La Favorita è una sfarzosa satira sulla rincorsa al potere e sugli equilibri che lo governano, bellissima da vedere e divertente da seguire, conferma tutte le categorie in cui il film è candidato, a cominciare dalla regia, meno personale per il soggetto ma ugualmente caratteristica nello stile, e dalla recitazione davvero super. Difficile non riconoscere alla Regina disperata di Olivia Colman il gradino più alto, ma c’è sempre qualcosa di Emma Stone, nel suo non prendersi mai troppo sul serio, di semplicemente irresistibile.