
Regia: Stefano Mordini
Produzione: Italia, 2018 – 102’
Quanto si può essere indulgenti con un film che ti prende in giro?
A questa domanda vuole rispondere l’ultimo film di Stefano Mordini, remake di “Contrattempo”, thriller spagnolo di un paio di anni fa e attualmente disponibile su Netflix.
Adriano Doria (Riccardo Scamarcio) è un giovane imprenditore sulla cresta dell’onda (come si dice), con una reputazione irreprensibile. Laura Vitale (Miriam Leone, tutta) è una fotografa bella e famosa e anche la sua amante.
Lei muore subito, all’inizio del film, in una stanza di albergo chiusa dall’interno e senza le maniglie alle finestre.
Doria si sveglia con la testa rotta e si rende conto di essere l’unico indiziato, anche se lui dice che non è stato.
Durante i cento minuti seguenti ripercorre i giorni e le settimane precedenti al fattaccio alla ricerca di dettagli che possano scagionarlo. Lo aiuta la dottoressa Virginia Ferrara, una super consulente incaricata dal suo avvocato di stressare la plausibilità della sua versione. Nel corso dell’interrogatorio emergeranno segreti che rovesceranno più volte la verità che pian piano viene ricostruita. Ad esempio la storia di un ragazzo che scompare e dei genitori che lo cercano. Ad esempio che nessuno è ciò che sembra.
Quando partono i titoli di testa leggi “Warner Bros”, poi vedi quelle belle riprese aeree delle strade di Milano, i grattacieli, il tramonto e la notte, quelle finestre che hai fotografato anche te, poi Scamarcio, Leone, Bentivoglio… pensi: dai, han speso dei soldi per fare una roba fatta bene. Gli arredi curati, le macchine, tutto bellino, cucito giusto, belle luci, bei posti.
Peccato che manchi giusto una sceneggiatura, un minimo di editing, qualcuno che in riunione abbia alzato la mano e detto fermi tutti, facciamo un passo indietro.
Perché qui sanno tutti dove il film deve andare a finire ma nessuno evidentemente aveva chiaro come farcelo arrivare. Senza spifferare niente e senza rovinare nessuna sorpresa: i fatti raccontati avvengono nei tre mesi prima del delitto, ma il numero di avvenimenti, le evoluzioni dei personaggi e le conseguenze di questi sviluppi, in quei novanta giorni non ci entrano neanche a spingere. Accettare un margine anche ampio di incongruenza in un thriller è doveroso, per carità, ma qui le cose che non tornano e che vengono fatte tornare a forza sono veramente troppe per essere ignorate. L’impressione di una scrittura che partendo dal finale cerchi a ritroso, per ogni ostacolo, l’espediente che risolva le difficoltà, vince su tutte le pur pregevoli qualità della pellicola. Il fatto che si tratti di un remake non può essere una scusante, anzi, si dovrebbe cogliere la possibilità di correggere eventuali storture o ingenuità.
Invece un’ottima recitazione viene prima appesantita da dialoghi stucchevoli e stantii, infine vanificata da un finale che umilia certi personaggi demolendone i tratti (e nel gioco ci sta), senza curarsi di sostituirli con motivazioni o personalità credibili.
Tanta cura e tanta professionalità per alcuni aspetti, e altrettanta approssimazione e faciloneria su altri.
Una bella occasione buttata via.