10 aprile
Di solito ci si serve di un episodio di sport per raccontare esempi di qualità virtuose come determinazione, correttezza, lealtà, fratellanza.
La storia della pattinatrice Tonya Harding invece si presta a un’antifavola nera su alcuni degli aspetti più oscuri e sgradevoli del modello sociale statunitense, in particolare in quegli anni a cavallo tra i voraci ‘Ottanta di Reagan e del primo Bush, e i successivi ‘Novanta, quelli un po’ viscidi, morbosi e bigotti della presidenza Clinton.
La madre della protagonista è una donna amareggiata, convinta di aver afferrato il significato più crudo della vita, incatena il destino della figlia al suo irriducibile desiderio di riscatto, e la costringe a sviluppare il suo precoce talento sportivo brandendola come una spada per trafiggere e demolire lo strato di convenzioni e buone maniere che a suo dire riveste di ipocrisia la ferocia del sogno americano.
Come uno di quei fiori ostinati che sfonda l’asfalto ai lati delle strade, la piccola Tonya cresce nelle ristrettezze di un ambiente povero di opportunità e arido di affetti. Priva di riferimenti più sani, si affida a un amore tossico, avvelenato dalla violenza e da una deviata mutua dipendenza. Nonostante il suo stile rabbioso rifletta le asprezze di un’educazione ruvida, riesce, prima atleta statunitense nella storia, nell’impresa di compiere un triplo axel in una gara ufficiale. Tuttavia, e di questo parla il film, più che da questo record, la sua carriera e la sua fama resteranno marchiate dall’aggressione subita dalla collega Nancy Kerrigan. Una squallida pagina di cronaca mai del tutto chiarita, resa ancora più fosca dall’atteggiamento contraddittorio tenuto dai protagonisti.
Recitato in modo energico da un cast generoso, reso ancor più efficace da scenografie e costumi particolarmente mimetici, il film nella sua prima parte è compatto e sodo come il culo della protagonista, mentre si sfilaccia un po’ proprio quando si addentra nei dettagli del caso Kerrigan.
Ne risulta comunque una pellicola davvero potente, robusta eppure a tratti indefinibile, gloriosa e funesta, che inscena l’arrembante rincorsa al successo dalla parte dei cattivi. Esempi per nessuno, incarnazioni fallite del mito americano, i personaggi coinvolti rappresentano il frutto marcito della propaganda arrivista.
Lasciandoli liberi di raccontare la propria versione, con desolante ironia il regista Craig Gillespie li espone al ridicolo delle loro miserie: la violenza come dialettica, l’elusione della verità mischiata al millantare fatti alternativi, il continuo tentativo di piegare la realtà all’illusione di essere sempre vittime, mai carnefici.
A partire da Tonya, l’Eroina triste che trovi in fondo al sacco dell’umido; poi la spietata madre, collezionista di mariti e perfetta rovinatrice di cose; e il rozzo compagno, possessivo e manesco, prontissimo a pestare la sua ragazza ma sostanzialmente imbelle nei confronti del patetico e ingordo amico; quest’ultimo una specie di ritratto di Dorian Gray per tutti gli altri, in cui ogni difetto è amplificato fino al grottesco, eppure è dalla sua improbabile figura che si scatena il Male, l’Incidente, il fatto osceno che compromette ogni cosa.
Al termine delle indagini, mentre l’eco mediatico si spegne, sullo sfondo si affaccia il successivo scandalo O.J.Simpson, ben più efferato, ben più devastante, ulteriore tappa di una decadenza inarrestabile .