14 febbraio
C’era una volta un Lupo Cattivo con un mitra e delle borse piene di proiettili.
Aveva preso un treno da Amsterdam a Parigi e avrebbe sparato a molte persone se tre giovani e coraggiosi americani non lo avessero affrontato e neutralizzato.
Passato il pericolo, alla stazione successiva i gendarmi francesi salirono sul treno, arrestarono il Lupo e distribuirono medaglie agli eroi.
Attorno a questo appassionante fatto di cronaca si ricostruisce la storia degli encomiabili buoni, mostrando quale background li abbia dotati di un temperamento tanto nobile e audace.
Si viene a sapere che i tre sono amici da quando erano bambini (e che già allora parlavano come adulti), che due su tre sono militari, e che il più intrepido di loro è dotato di un’esuberanza troppo a lungo compressa dalle tante e noiose regole di un apparato sociale preoccupato più di prevenire possibili criticità che di cercare il coraggio di affrontarle.
Per enfatizzare il più possibile l’urgenza che lo spinge a girare, Clint Eastwood sceglie un brano di cronaca a prova di fact checking, talmente recente e conosciuto da respingere qualsiasi appendice fittizia, così da vincolare il racconto all’essenziale.
Ma non basta. Mischiandoli ad attori di mestiere, decide di affidare ai veri protagonisti della storia i ruoli di questi nuovi Tommy, Timmy e Jimmy, servendosi della loro prestanza per incatenarsi alla sua idea di film-verità.
Sembra quasi di vederlo: “In mezzo a tutta questa verità, nessuno penserà che dico baggianate.”
Poi, con la collaudata tecnica e la solita mano ferma, consegna allo spettatore un altro filmone efficace e avvincente, accentrando il pathos nella concitata scena finale, e truccando il gioco grazie a un montaggio che costringe a tenere la guardia alta per evitare di essere sorpresi dagli strappi in avanti della regia.
Tuttavia, nonostante la massiccia rettitudine e i buoni propositi, continua a nascondersi qualcosa di inguardabile negli ultimi film di Eastwood.
Si tratta di un sentimento ottuso e reazionario che si articola dapprima chiaramente in American Sniper e poi dissimulato tra le righe in Sully.
Il primo film presenta l’idea che il modello occidentale sia minacciato dall’esterno da nemici ignobili e implacabili, sbucati fuori dal nulla, senza un passato e con nient’altro nella testa e nel cuore se non il profondissimo rancore per uno stile di vita che invidiano tanto da voler distruggere.
In Sully, poi, si ragiona su come gli uomini d’azione, perfettamente in grado di compiere gesta mirabili anche in condizioni estreme, siano costantemente ostacolati da un sistema vischioso, un muro di gomma che avvilisce ogni iniziativa per inglobare le eccellenze nella mediocrità.
Su questi cardini Eastwood fissa la cornice: Gli USA sono buoni, gli altri sono cattivi, e non si riesce a risolvere la faccenda perché i bravi ragazzi sono in balìa dei parolai.
In questo ultimo capitolo, come un cinquestelle qualsiasi, il regista grida il suo SVEGLIAAA!!11!!!11!
Quello che viene fuori è un film imbarazzante, che fin dalle prime scene mette tutto sotto il fuoco di un gigantesco conflitto: Chi Parla Vs. Chi Fa, Ragazzini Vs. Scuola, Mamme Vs Pillole, Americani Vs Gente con la Barba.
Inzuppati da un militarismo osceno, impariamo che a dispetto di Abu Ghraib, l’esercito statunitense è composto da autentici cuoridoro, soldati buoni e pazienti che ti spiegano le cose, e che se ti dimentichi lo zaino nel deserto afghano si torna indietro tutti insieme a recuperarlo.
Cavalcando il Grand Tour Europeo dei tre marmittoni che ci vengono a salvare dall’ignavia, ringraziamo con gli occhi lucidi i prodi marines se oggi possiamo andare in bici per la spocchiosa Berlino, o perderci oziosi nella dolce vita di Roma e Venezia.
Se questa trattazione si limitasse a una visione superficiale, si potrebbe ridurla all’esercizio di uno sfogo, una fioritura rabbiosa provocata dall’ansia. Se fosse così farebbe quasi tenerezza.
Ma il problema grosso è che Clint Eastwood si premura di strutturare il suo pensiero prodigandosi – a modo suo – di restituire un ritratto obbiettivo. Oltre alla già esaminata aderenza alla cronaca, come già in American Sniper, non si vergogna di tratteggiare i suoi protagonisti con tratti tutt’altro che esemplari, anzi, i suoi eroi sono poco più che dei sempliciotti, tirati su a torta di mele, ginnastica e patria, senza perdere tempo a farsi infinocchiare dalle chiacchiere.
Si sdogana così, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la corrente che spinge per menare le mani piuttosto che capire le cose.
Dell’attualità si valutano solo gli effetti, delle cause chissenefrega.
Continuiamo così, facciamoci del male.
“Siam tre piccoli porcellin,
siamo tre fratellin
mai nessun ci dividerà,
trallalla-lallà
trallalla-lallà
trallalla…
trallalla-lallà”
Bonus Track:
https://www.youtube.com/watch?v=4L2Q0AHsFjw