La Forma dell’Acqua

il

la forma dell'acqua (2)

17 febbraio

C’era una volta un tempo e un luogo dove si combatteva una guerra fredda.
Le guardie dicevano a tutti che per vincere bisognava avere paura, allora c’era chi aveva paura di quelli neri, chi di quelli rossi, chi di quelli che volevano bene a chi gli pareva.
Gli altri abitanti di questo luogo, quelli che non erano delle guardie, dovevano nascondere i loro cuori per non farsi scoprire. Chi poteva scappava nei cinema, nelle canzoni, nei gatti e nei disegni.
Tra di loro c’era Elisa, che non poteva parlare e che faceva le pulizie in un posto segreto. Elisa non aveva la voce, ma aveva grandi occhi vispi, e comunque se c’era bisogno ci pensava la sua amica Zelda a chiarirsi per tutt’e due. Zelda capiva bene come funzionava quel mondo, e usava un’arguzia vivace per ripararsi da un amore così così e da quelli che non gradivano il suo colore.
Un buon amico per Elisa era anche il suo vicino di casa, un signore che si chiamava Giles, che avrebbe tanto voluto vivere in un luogo più favorevole ai suoi sentimenti e ai suoi acquerelli, in un tempo meno sgarbato e meno cattivo.
Un giorno le guardie, che cercavano sempre delle nuove armi per vincere la guerra, trovarono un essere così strano e così bello che non sapevano se fosse più uomo o più pesce, allora lo portarono nel posto segreto per studiarlo con le bastonate.
Quando Elisa incontrò quel mistero marino ne restò incantata, e decise che nessuna guerra poteva essere vinta al costo di una tale meraviglia…

La Forma dell’Acqua è una fiaba semplice ritratta in modo incantevole. Per i primi venti minuti si resta a bocca aperta, sembra Amélie girato da Tim Burton. Invece è Guillermo Del Toro, e infatti appena la magia fa effetto, comincia a mischiarsi con elementi più concreti e dettagli più crudi, mentre poco a poco certi dialoghi svelano indizi sulla poetica dell’autore. Si citano i miti di Tantalo e di Sansone. Il primo riflette l’eterno protendersi verso un desiderio irraggiungibile, il secondo ammonisce sulle seducenti lusinghe in grado di piegare anche il forte e austero eroe ebraico.
Il regista accomoda la sdraio nei primi anni ‘Sessanta, su quel bagnasciuga tra quello che è stato e quel che verrà, mentre un mondo regolato da belve borghesi pronte a scannarsi cede sotto la pressione di pulsioni, pubbliche e private, sempre più impetuose, impossibili da contenere.
La psicanalisi ha codificato l’acqua e il mare come simboli dell’inconscio, sede segreta dei desideri più nascosti e sinceri. È nell’acqua che Elisa ama e si ama. È dall’acqua che il taumaturgo arriva per guarire ogni male.
L’elemento acquatico, dapprincipio costretto in vasche piscine e bidoni, con l’avanzare della storia scorre inarrestabile, straborda, invade le stanze e i laboratori e i cinema, fino al temporale che riempie ogni spazio, dalla terra al cielo.
La forma dell’acqua è la forma del mondo, di tutto quello che c’è e ci potrebbe essere.
Superando una superficie liquida si entra nell’acquario di Guillermo Del Toro, un serbatoio ricco di cose bellissime da vedere e da ascoltare: assecondando movimenti di macchina ovviamente fluidi, alla scoperta di fondali verdi e blu, dove ogni dettaglio si sposa col suo prossimo, perdendosi in scenografie pittoriche che fanno pendant coi costumi indossati da un cast distinto dai lineamenti curiosi al limite della caricatura, privo di volti ambigui o sgradevoli, in cui ognuno resta piacevole a modo suo. Un’armonia che ruba l’occhio e che insieme a una colonna sonora nostalgica sospinge gli spettatori fra le onde, convinti e persuasi che sì, il naufragar è dolce in questo mare.
Ma le pareti di cristallo di questo mondo fantastico sono i bastioni che lo difendono e le sponde che lo confinano. Il limite di questo film è infatti quello di non riuscire a essere universale.
I toni lividi e subacquei lo caratterizzano ottimamente, concedendo all’autore la libertà di parlare di “quel sentimento con la A” evitando le consuete gradazioni calde, ma l’atmosfera umidiccia che ne traspare raffredda gli ardori che dovrebbero muovere i personaggi, sia buoni che cattivi.
È inoltre una pellicola che strizza spesso l’occhio agli amanti delle citazioni e dei rimandi, giocando con gli echi di memorie passate, e questo è un gioco che può piacere moltissimo ad alcuni ma rischia di non divertire tanti altri che lascerà poco convinti.
È in fondo un film per sognatori, per pescatori di cinema e cercatori d’oro smarriti negli abissi dei ricordi.
Se siete dei nostri, buona visione.

 

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