Silence

il

silence

21 gennaio 2017

A quanto pare può capitare che anche uno dei mostri sacri riesca a fare un film all’altezza delle aspettative.
intendiamoci, Silence è un film impegnativo. Intanto è un film grosso così. Dura centosessantuno minuti, che sono quasi tre ore, e che NON vanno via proprio liscie liscie. C’è qualche scena un po’ pesante da mandare giù, il ritmo della vicenda è deciso ma compassato, e soprattutto il tema trattato non si presta alla leggerezza né alla superficialità.
Verso la metà del 1600 una coppia di gesuiti viene inviata dall’Olanda in Giappone alla ricerca di un confratello del quale si sono perse le tracce da anni. A quel tempo il Giappone era stato “scoperto” dagli europei da poco più di un secolo ed i gesuiti funzionavano un po’ come la CIA della chiesa cattolica: adoperandosi nel proselitismo predicavano il cristianesimo a masse povere ed ignoranti per convertirle ma anche per poter all’occorrenza fomentare rivolte per destabilizzare poteri locali e favorire le ambizioni di Spagna e Portogallo, protettori e mecenati della chiesa cattolica. In Europa si era infatti nel bel mezzo della Guerra dei Trent’anni, in cui i Potenti del tempo erano impegnati a darsele di “santa ragione” più che altro per ostacolare l’eventuale egemonia di una o dell’altra parte. In questo contesto scoppia in Giappone la persecuzione dei cristiani da parte delle istituzioni imperiali che, mangiata la foglia, non esitano a stanare ed eliminare convertiti e convertenti con zelo degno della Santa Inquisizione.
Succede così che i due padri gesuiti, senza alcuna preparazione se non quelle ideologiche e pedagogiche, si ritrovino poco più che naufraghi in una terra straniera, senza un orientamento ed in balia di una popolazione indigena che – per quanto addomesticata – si rivela per cultura e carattere ambigua e indecifrabile, facce di bronzo dietro le quali non é dato capire se si nascondano amici o nemici.
Perché la caccia al cristiano é implacabile e crudele, e tra spaventi, speranze e tradimenti si assiste a un campionario cruento di catturoni ai danni dei contadini convertiti, che poveracci non lo sanno neanche loro a cosa son finiti in mezzo.
Ma la vera, reale, antagonista dei due preti sembra essere la Natura stessa. C’é un sacco di fango dove si mettono i piedi, e prati e campi di un verde pieno e fradicio, zuppo di una Vita che la terra non sa trattenere. Una Natura selvaggia e umida, sprezzante e indifferente delle crudeltá, delle sofferenze e delle nuove idee portate dagli ultimi arrivati, una Forza ancestrale ed eterna che i nativi hanno invece accettato ed introiettato e attorno alla quale hanno creato e sviluppato la propria identità spirituale e religiosa.
Allora poi é lí che si sposta il discorso, sullo scontro tra la forza di una Fede la cui promessa di dare un senso e una ricompensa alle sofferenze terrene ha facile presa sulle menti dei semplici e dei miserabili, e la visione animista di chi cerca un suo posto nel Creato e ne accetta e segue le regole.
La cifra del film, ciò che ne fa probabilmente travalicare l’essere “solo” un film, é il saper presentare queste due concezioni antitetiche senza però prendere una posizione a favore di una o dell’altra. Anzi, Scorsese riesce in un capolavoro di equilibrismo a raccontare una storia intrigante che parlando la stessa lingua intende cose diverse a seconda di chi ascolta. Leggendo quello che scrivo non é difficile capire quale sia la mia squadra, ma il film rimane molto più ambiguo di quanto possa renderlo io. Chi lo vedrá non farà che rafforzare le proprie convinzioni: il credente ammirerá la forza ed il sacrificio della Fede, mentre lo scettico annuirá in silenzio riconoscendo lo spirito rapace di chi, lupo, si veste della pelle dell’agnello. Eppure entrambi saranno condotti davanti al dubbio, entrambi saranno costretti a farsi delle domande.
Ma Scorsese non ha in tasca nessuna risposta, anzi dimostra la maturitá e l’umiltá di non azzardarsi nemmeno a suggerirne una. Il suo ruolo é quello di chi sa indicarti un filo nascosto nel tessuto che ti veste, ma non si spinge certo a tirarne un capo piuttosto che l’altro. Farlo significherebbe avere la presunzione di risolvere il mistero dell’animo umano, e in questo campo solo uno sciocco può pensare di avere una soluzione adatta a tutti.
Trovare queste risposte, o anche solo cercarle, é percorso che riguarda ciascuno secondo coscienza.
Chi avrà la pazienza di perdersi dentro questo film saprà apprezzarne la densità. Quel suo essere massiccio, pesante e pieno eppure in fondo inafferrabile.

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