25 gennaio 2017
Avevano detto che era un bel film.
Volendone parlare bene provo a sintetizzare gli aspetti positivi:
Ci troviamo in quella parte della fantascienza in cui vorrebbe pesare di più l’aspetto scientifico di quello fantastico e, attraverso questa maggiore aderenza alla realtà che più o meno conosciamo, si offrono spunti per indagare i sentimenti, la psiche ed aspetti più filosofici dell’animo umano.
Il succo della vicenda è l’incontro con una civiltà aliena che si manifesta in modo ermetico con enormi strutture chiamate “gusci”, sospese su una dozzina di località nel pianeta.
Per stabilire una comunicazione con questi ospiti, gli USA ingaggiano un team di studiosi.
Tra di loro un’insegnante di linguistica che ha da poco perso la figlia adolescente per una malattia ed un fisico del quale non si dice praticamente niente. Lei è Amy Adams ed è brava in modo gratuito e del tutto inopportuno, lui dev’essere Jeremy Renner ma potrebbe essere chiunque che sarebbe la stessa cosa.
Segue una parte centrale piuttosto pallosa in cui la prof riesce in un qualche modo a fissare i rudimenti di una comunicazione. Qui si scopre che gli alieni comunicano con dei versi e con dei segni grafici che spruzzano con una specie di inchiostro nell’atmosfera gassosa in cui vivono. Questi segni sono circolari e racchiudono in un solo segno un’intera frase o un concetto.
Questa cosa è importante perchè spiega il pippone alla base dell’idea del film, ovvero che il Tempo è una sorta di circolo e che quindi può essere percorso, rivissuto e in un qualche modo si può riuscire a concepirlo in maniera spaziale e quindi relazionarsi ad esso da prospettive diverse.
Fino a questo punto il film regge. Seppur piuttosto prolisso e confuso, mantiene una sua identità ed alcune scelte stilistiche contribuiscono a dare un senso al tutto.
La parte migliore è sicuramente quella che precede la visione delle astronavi aliene: al contatto si arriva per gradi, inizialmente avvertiamo solo la notizia, come le onde di un sasso lanciato nell’acqua. Cresce la tensione, si prepara il momento e tac! Bello, ben fatto.
La vicenda è filmata sempre in una specie di chiaroscuro, gli interni sono spesso al buio, ci sono molte silhouette di cose che intravedi ma che ancora non capisci, mentre gli esterni sono tutti immersi nella luce bassa e diffusa dell’alba, come una di quelle mattine d’estate che ti alzi presto per andare via e ti sembra di vivere nel momento prima che tutto cominci.
Purtroppo però è da qui che si aprono le crepe, perchè nel frattempo gli Stati interessati dalla presenza dei “gusci”, dopo un primo momento in cui provano a coordinarsi, cominciano a muoversi in ordine sparso.
Gli Americani decidono di andarci coi piedi di piombo, perché in questo film loro non sono quelli che hanno sganciato due bombe atomiche sul giappone a guerra finita, mentre Russi e Cinesi fanno le teste calde che vogliono menare le mani.
Segue quindi la vera invasione, non quella dei marziani ma quella dei luoghi comuni dei film coi marziani. Nel dettaglio e in ordine sparso:
– elicotteri avanti e indietro
– una bomba col display del conto alla rovescia con i numeri rossi.
– la telefonata dell’ultimo minuto.
– il gesto ribelle dei protagonisti che in una base militare con solo dei soldati nessuno gli spara.
– il sudan.
Alla fine il tutto poi si risolve in un modo che lascia spiazzati anche per un film “di genere” come questo, perché non centra nulla con tutto il discorso e l’atmosfera che era stata costruita prima e prende una direzione totalmente incoerente che spazza via anche quel poco di buono che si era seminato.
Non è che non ci abbiano provato, per carità. Ci sono degli spunti interessanti, però sono sviluppati male e con tutta la buona volontà, la sceneggiatura non riesce ad emanciparsi dagli stereotipi del genere e il film alla fine proprio non ce la fa a stare in piedi.
Inoltre per noi della zona di Bologna, vedere questi alieni che: A) sono immersi nella nebbia, B) non capiscono quello che gli umani cercano di dirgli, risulta praticamente impossibile non pensare ad una cosa sola:
“scòrr in italiàn, fat dèr int al cul…!”