19 dicembre 2017
Un giorno che piove un uomo e sua figlia accompagnano l’anziana madre tra i malinconici paesaggi del nord della Svezia.
La donna ha i capelli grigi e gli occhi del lupo. Il suo nome è Elle-Marja, si fa chiamare Christina. Si trova dove si trova per seppellire la sorella, abbandonata a quattordici anni insieme al resto della famiglia e a una vita rinnegata. Figlia di allevatori di renne, promessa allevatrice di renne, Elle-Marja una volta era una Sami, popolo seminomade che vive nel nord del nord dentro tende sbattute dal vento.
I vicini svedesi li chiamano Lapponi, di loro si dice che siano poco più che selvaggi, minorati mentali inadatti alla vita in città.
Alla luce bianca delle teorie razziali dei primi del Novecento, i sami vengono raccolti, studiati e misurati al garrese in cerca della prova provata della loro conclamata inferiorità. Fustigati da un coro che li spinge nell’angolo, sono destinati a scuole speciali configurate alle limitate capacità, dove ammansiti nel disagio diventano protagonisti di una profezia autoavverante.
Elle-Marja si ribella al pregiudizio, al suo odore, ai vestiti da cartolina. Forte di un’intelligenza abbagliante, scavalca i mille muri che la vogliono straniera: la lingua, i cibi raffinati, i riti sociali. Una strada tracciata da tappe crudeli e umiliazioni, sulla quale lascerà parte di sé per reinventarsi nuova e emancipata in una società ostile, saldamente affezionata al proprio sistema di caste.
Il film racconta questa storia in un lungo flashback della protagonista ormai anziana, costretta dal lutto a un doloroso contatto col suo passato. I centodieci minuti di cui si compone non sono tutti indispensabili, e rallentano il ritmo di una pellicola che vive sopratutto di momenti, alcuni particolarmente vividi ed efficaci nel restituire la dura e sconsolata ricerca dell’identità di Elle-Marja/Christina. Un’amarezza che si riflette negli evocativi panorami ritratti a cornice dei vari episodi. Lande desolate spazzate da venti freddi, placidi specchi d’acqua riparati da monti alti e severi, impermeabili ai drammi degli umani che si affannano ai loro piedi e che vedono le loro speranze asciugarsi e le loro anime indurirsi. Sami Blood è il racconto di un’ingiustizia incastrata nella natura, quella degli uomini e quella del mondo.