24 dicembre 2017
Nella prima scena si vede il gomito di un fiume in inverno, diversi alberi coperti di neve si affacciano dal suo letto, il più grande é curvo sullo specchio d’acqua. La scena é ripresa di giorno, e tra il cielo pallido e la neve, dovrebbe essere accecante di luce. Invece é fredda e buia. Come freddo e buio é il resto di questo film spietato, che racconta di un buco dove si perde la capacità di amare e di entrare in empatia col prossimo. Questo buco ha la forma di un bambino biondo di dodici anni che si chiama Alyosha, i suoi genitori sono uno peggio dell’altro, si stanno lasciando male, e rimbalzano sul ragazzo i rancori e l’astio di una vita che hanno fretta di superare.
Entrambi hanno altre relazioni su cui concentrarsi, altre vite come piani B da far funzionare meglio.
Quando un pomeriggio Alyosha scompare, Boris e Zehnya sono costretti a occuparsi del figlio che avrebbero voluto non avere.
Se la vicenda raccontata é profondamente intima e privata, il respiro ampio del film é ben piú ambizioso. Il dramma familiare, opprimente e doloroso, viene quasi stritolato dal contesto generale in cui si sviluppa. Il bersaglio grosso che il regista Andrey Zvyagintsev (Il Ritorno, Leviathan) vuole colpire è la società Russa e nel farlo si serve di una serie di dettagli rivelatori. La storia é ambientata a poche settimane dalla fine del 2012, in un clima da fine del mondo imminente, esasperato da quella ridicola “profezia maya” che ricordiamo tutti, l’apocalisse evocata si realizzerà nella rivolta Ucraina e nella successiva guerra, un conflitto fratricida insensato e atroce come la separazione carica di crudeltà che vivono i due protagonisti. Tutti i personaggi del film, anche le fugaci comparse, camminano persi nei loro smartphone, eludendo la vita “reale” e preferendone la versione riveduta e corretta filtrata dai selfie e dalle chat. Quelli bravi parlerebbero di edonismo, e infatti Zehnya lavora in un centro estetico e il suo attuale compagno é un signore distinto che la porta in costosi ristoranti e abita in una casa bellissima dove tutto é assoluto design. Boris invece é un uomo che vuole sentirsi padrone ma lavora in una megaditta il cui management segue con rigore la dottrina Ortodossa, il regista sottolinea così il ritorno delle correnti religiose e le ingerenze sempre più invadenti negli aspetti laici delle comunità, effetto classico dei modelli sociali esausti che, a corto di risorse, vanno cercando santi a cui votarsi. A conforto di questa lettura viene presentata la condizione delle forze dell’ordine, apparati ridotti allo stremo, paralizzati dalla burocrazia e costretti a disinteressarsi dei cittadini e a delegare parte delle indagini e delle ricerche a pattuglie di volontari; gli unici “buoni” del racconto sono infatti quei personaggi che a proprio rischio e pericolo decidono di organizzarsi e muoversi fuori dalle regole ufficiali.
Mi sono voluto soffermare su questi dettagli scoprendo un po’ il contenuto del film perché ritengo essenziale non perdere di vista questa chiave di lettura, anche per non farsi soffocare eccessivamente da alcune scene assolutamente straordinarie per la potenza con cui arrivano e per l’incisività con la quale esplorano l’aridità e l’indifferenza dei due genitori. Scene decisamente crudeli ma che vanno interpretate pensando all’allegoria magistralmente orchestrata e diretta da Zvyagintsev.
In una delle scene più eloquenti, un gruppo di volontari appende un volantino su un palo che divide l’inquadratura in due, da una parte c’è la strada, con le macchine e le luci e il rumore del mondo, dall’altra c’é un terreno coperto di neve che si perde in un bosco buio. Un uomo passa davanti al volantino senza neanche guardarlo, calpesta la neve e si infila nel buio. Per il regista in questo momento tutti noi rischiamo di essere quell’uomo, che ce ne freghiamo e tiriamo dritto, nel buio.
Tanto per ribadire l’ovvio, il film viene distribuito col titolo internazionale di Loveless, come a dire che senza quella capacità di amare e di condividere, ogni società é destinata ad appassire e a scomparire.
Oggi è il ventiquattro, é ormai tempo di bacini e di vin brulé, e questo non è certo un film da guardare sotto le feste, ma se ve la sentite, lasciate passare qualche giorno e poi cercate di vederlo.
Intanto, Buon Natale.
p.s: curiosamente ci sono in sala altri due film che per tematiche e struttura possono accompagnarsi alle riflessioni innescate da Loveless: uno è Suburbicon di Clooney che si presta a un parallelo – forse impietoso – tra quello spirito un po’ naif e questa devastante messa in scena, l’altro é il glaciale Happy End del sempre acido Haneke. Se non ne avete avuto abbastanza…