28 febbraio 2017
Moonlight racconta un pezzo di vita di un pusher attraverso tre episodi, sostanzialmente traumatici, che lo vedono prima bambino poi adolescente e infine giovane adulto.
Il protagonista si chiama Chiron, lo conosciamo a Miami da bambino quando, mancante di un padre e con una madre via via sempre più persa nelle sue dipendenze, pare giá condannato a recitare nella vita il ruolo della lepre, costantemente in fuga dai predatori in cima alla catena alimentare.
Da quest’ambiente ostile sembra trovare una possibile protezione e un sicuro riparo quando conosce Juan e Teresa, una coppia di giovani adulti che si prendono a cuore la sua sorte.
Ma Juan, se da un lato si cala con trasporto nel ruolo di guida/fratello maggiore/quasi padre, dall’altro é giá uno spacciatore affermato, e questa sua doppia natura mette in crisi il piccolo Chiron che del mondo degli adulti non riesce proprio a capirci niente.
Il racconto prosegue nell’adolescenza del ragazzo che, lontano dall’aver sciolto le sue insicurezze e risolto le proprie difficoltá relazionali e familiari, si trova a subire ancora di più le angherie e le dinamiche ben più aggressive di un mondo che insieme a lui cresce ma, a differenza sua, si fa sempre piú duro.
Passano gli anni e lo ritroviamo ad Atlanta dove, trasformato nel fisico e – apparentemente – nei modi, in mancanza assoluta di modelli di riferimento, clona se stesso in una copia di Juan, la cosa più vicino ad un genitore che abbia mai avuto. Palestrato e spacciatore, si copre d’oro dalla testa ai piedi scimmiottando il suo personale Obi Wan, mascherandosi da coatto tenta infatti di dissimulare il suo carattere sempre troppo remissivo.
Parallelamente alle vicende biografiche, si svolge la vita sentimentale del ragazzo, che scorre nelle tappe del suo legame con un amico di infanzia col quale a un certo punto ha un rapporto e del quale si innamora.
L’accento della critica é stato messo da subito sul fatto che il protagonista sia nero e gay, e sulle conseguenti difficoltá di vivere questa condizione all’interno di un determinato contesto “americano”. Personalmente non sono del tutto d’accordo con questa lettura. Il protagonista é nero come lo sono tutti gli altri personaggi, e in quanto all’omosessualitá penso che l’essersi invaghito dell’unica persona che gli abbia dimostrato affetto e rispetto sia da ricondurre alla mancanza di qualsiasi altra scelta. Come si lascia assorbire dalla personalitá di Juan, cosí si abbandona e lega totalmente al sentimento per il suo amico. In entrambi i casi é la mancanza di riferimenti affettivi dovuti alla disastrosa condizione familiare a “non lasciargli scelta”. Più che un film sull’essere nero e gay, dunque, mi pare sia piú centrato sul problema delle periferie, del vivere e crescere in ambienti in cui la mancanza di alternative porti ad imporsi solo i modelli sociali piú aggressivi, comprimendo e schiacciando ogni altra possibilitá al ruolo di cliché da bullizzare.
La cosa piú forte che arriva da questo film é infatti l’enorme mole di potenzialitá repressa, di ambizioni frustrate e di speranze spiaggiate tristemente che emerge dalle microstorie di tutti i personaggi raccontati (non solo dal protagonista).
La crisi del modello occidentale, che ha abbandonato il welfare per sposare le logiche del business, ha creato deserti sociali nei quali gli individui crescono abbandonati, le famiglie vengono annientate dai guai e gli orizzonti inceneriti.
Una condizione che é comune a tutte le periferie a tutte le latitudini; senza andare all’estero, una storia del genere, con pochissimi distinguo, sarebbe potuta essere raccontata in una qualsiasi delle periferie delle cittá del mezzogiorno italiano, per esempio, e forse anche di certe cittá del nord.
Quanto al valore complessivo del film sono un pò perplesso. Si tratta ovviamente di una piccola produzione indipendente, i soldi da spendere erano pochi, ci sono un sacco di primi e primissimi piani, che sono sempre un bel modo per risparmiare, non manca però una certa quantitá di estetismi, gli attori sono tutti belli, per dire, e anche certe inquadrature hanno un’estetica molto curata che forse stride un pò con quel senso di denuncia bruciante che é stato associato al film.
Viene resa molto bene invece tutta la fragilitá dei personaggi, il loro mordersi la lingua per tradire morbidezze e moti interiori che non si possono permettere.
Nonostante questo non mi é sembrato un film che muova delle grandi emozioni, é girato con molto sentimento e con molta sensibilità ma manca ancora qualcosa per essere davvero un grande film.