L’Intrusa

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l'intrusa

4 ottobre 2017

Giovanna ha gli occhi chiari e la erre moscia. Gestisce a Napoli o giù di lì una specie di circolo ricreativo per puppies, più che un dopo-scuola si direbbe un alter-scuola. Accoglie bambini che altrimenti si perderebbero, lontani da ogni regola o esempio.
Una piccola comunità il cui fragile equilibrio è messo alla prova quando Giovanna accetta di accogliere nella baracca al centro del campo Maria e Rita, moglie e figlia di un latitante che a lungo ha soffocato il quartiere e i suoi abitanti.
Nella frontiera dove la differenza tra legalità e illegalità è solo ortografia, l’unico codice che resiste è quello tribale delle faide e delle spirali di odio e diffidenza che stritolano i figli nelle colpe dei padri.
Non è dato sapere chi sia davvero L’Intrusa del titolo, se la malcapitata e inquieta Maria o la stoica Giovanna, che si sforza di parlare una lingua cristallina e aliena ad una platea troppo spaventata per accettare di chiudere un occhio sulla discendenza dell’ultima arrivata.
In quelle lettere cancellate tra legale e illegale si smacchiano le speranze e le volontà di chi non fa sconti a nessuno per proteggere quello spigolo di stabilità su cui sente traballare tutta la vita.
Leonardo Di Costanzo firma un film estremamente verista, seguendo con lentezza e mano ferma i fatti che si srotolano senza strappi, come un filo caduto che apparentemente non porta da nessuna parte. Avvicinandosi ai personaggi si possono peró apprezzare dettagli e sfumature che svelano moti interiori dall’andatura incerta e dalla destinazione misteriosa.
Dopo “L’Ordine delle Cose” di Segre e “A Ciambra” di Carpignano, arriva un altro film italiano che si sporca le mani con l’ambiguità e la complessità con cui dovremmo fare più spesso i conti.
Viviamo in tempi difficili e nascondercelo non serve a niente. Ben vengano questi film un pó scomodi, dove non c’è morale, ma c’è la vita.

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