7 ottobre 2017
(ovvero: valeva la pena aspettare trentacinque anni)
Nel 2049, trent’anni dopo la fuga di Deckard e Rachel, Los Angeles é diventata una discarica sepolta dal pattume e le campagne sono praterie ricoperte di antenne e datacenter. Servono per animare le simulazioni che abitano la Megalopoli insieme a umani e androidi. La vita sulla terra é un limbo inutile, ogni risorsa è indirizzata a rifornire le colonie del fantomatico Extramondo.
La cittá di K (cit.) é un posto dove nessuno vorrebbe vivere, e K é un Blade Runner alla ricerca di vecchi modelli di replicanti da terminare. Il perché e il percome lo sappiamo tutti.
Durante una missione inciampa in un segreto che attira l’attenzione della megaditta Wallace (erede della Tyrrell) che oltre ai “lavori in pelle” ha il monopolio delle A.I, i bot (derivati degli odierni Siri e Cortana) che affiancano umani e non nella disperata solitudine di un’epoca senza nessuno scopo se non il consumo.
L’indole apatica di K riflette l’inerzia vana del mondo che lo circonda. E’ triste e disperato ma non può farsi domande e continua a obbedire agli ordini.
Luci che non illuminano tagliano stanze buie e spoglie che imprigionano gli individui in un eterno presente, tra un futuro che non sanno immaginare ed un passato perduto, cancellato da un evento epocale che ha annullato ogni memoria.
I ricordi sono sempre stati il punto debole per distinguere i replicanti dagli umani, ma adesso, una volta digitalizzati e perduti non appartengono più a nessuno.
“Esalta!” ripeteva Deckard alla fotografia sgranata che svelava la fuga dei nexus-6. Lo ripeteva in un futuro di trent’anni fa in cui la distopia di allora appariva scagliata lontanissimo da quegli anni ’80 un pó così. Gli elementi distopici di questo nuovo upgrade sono invece vicinissimi. Sono Intelligenze Artificiali annidiate negli assistenti vocali o megalopoli sepolte da tonnellate di rifiuti impossibili da smaltire. Non c’è rottura col mondo che conosciamo, ma un ingrandimento/avvicinamento di quegli elementi che già oggi ci spingono altrove.
Se la prima ondata del cyberpunk si interrogava sulla deriva della società dei consumi, oggi l’attenzione è su cosa sia reale e cosa non lo sia. Chiusi nelle nostre bolle rifiutiamo l’incontro con gli altri preferendo la gratificazione più facile di illusorie realtà virtuali. Ma quando la datificazione e l’elaborazione permettono di vivificare fantasmi e miraggi, arriva il momento di chiedersi a che punto questi possano conquistare la dignità di considerarsi veri? Che ne sarà degli umani quando i nostri corpi saranno superati da modelli più efficienti e consapevoli? Cosa sono i ricordi? Che cosa è Vita?
D’accordo, certi frutti che questo film raccoglie sono stati seminati da tanti altri prima di lui. Abbiamo visto Her, abbiamo visto Matrix e Ghost in the Shell, ed Eternal Sunshine of the Spottless Mind, ma qui tutto si comprime ed esplode in una fusione fredda la cui violenza viene trattenuta dalla superficie di un mondo ormai esausto, e implode sotto i piedi sbalzandoci da ogni speranza e falsa certezza.
Blade Runner 2049 non puó avere la forza dirompente dell’originale – che sarà per sempre uno di quegli episodi che crea un prima e un dopo nella cultura mainstream – ma riesce a rendere onore a quell’estetica così affascinante rispettandola a testa alta, senza volerla sostituire o scopiazzare, ma semplicemente continuandola, indossandola, innestandosi in essa e rinvigorendola aggiungendo preziosissimi elementi nuovi a un impianto già strepitoso.
L’esuberanza visiva è stupefacente; rapisce i sensi persuadendoti con evidenti astrazioni che pure vorresti vere. Ci sono suggestioni già cult (prevedo sviluppi per la suoneria di K) e invenzioni pregevoli che – prepariamoci – saranno maldestramente riprese in parecchi filmacci a venire.
Hans Zimmer (sempre lui) batte il tempo nel suo modo possente ed epico aumentando il peso specifico di una pellicola, già bella densa di suo, che si sviluppa al meglio nella prima parte, dove sono evidenti la libertà e l’idea alla base della regia di Villeneuve, mentre la seconda parte paga forse un po’ il rientrare in una trama che viri verso una conclusione. (che a Harrison Ford gli vogliamo bene tutti ma se diventa obbligatorio che partecipi a tutti i seguiti dei film che ha fatto cent’anni fa, la cosa comincia a somigliare a una tassa più che a un piacere).
Di sicuro Blade Runner 2049 non è uno di quei sequel fatti per cannibalizzare il primo capitolo. È tante altre cose, a volte un pó nostalgiche e dolenti ma spesso molto belle.
E’ un film ricchissimo e curato, pensato, studiato e – soprattutto – amato.
enJOI!