Easy. un viaggio facile facile.

il

easy

25 settembre 2017

Un uomo grasso, non più giovane ma nemmeno vecchio, vive ai margini della socialità finché intraprende un’esperienza che lo porta a confrontarsi con la vita che cercava di eludere.
Ormai questa non è più una trama, è diventato un genere.
Se non altro questa volta il motore dell’azione non è una donna.
Easy (Isidoro) una volta guidava le macchine, talento precoce, interrompe la carriera in gioventù e da allora mangia sbalderie e non esce di casa della mamma. Più che depresso è impanicato. Ingoia pastiglie per qualsiasi imprevisto e limita al minimo emozioni e risposte. Perdente per distacco, pure per sua madre è il figlio n.2. Una mattina il figlio n.1 lo costringe a un viaggio in solitaria da Trieste ai Carpazi attraversando l’Est Europa. Duemila e passa chilometri tra Slovenja, Ungheria e quasi tutta l’Ukraina.
Scopo della trasferta è trascinare al paesello natio la bara di un manovale morto in un cantiere del fratello trafficone. Dovrebbero essere d’aiuto la tecnologia e alcuni fiancheggiatori, ma questi ultimi si fan di nebbia, mentre la tecnologia fa la fine che vi aspettate, lasciando il nostro faccione nelle pesti man mano che si allontana dai territori familiari per addentrarsi nelle terre sconosciute e dimenticate dell’ex impero sovietico.
In un contesto allo sfascio, in cui tutto tende alla tristezza più disarmante, Easy troverà le risorse che spingeranno lui e la sua cassa alla fine del viaggio.
Celebrata e applaudita in diversi festival “minori”, la particolarità di questa commedia non proprio originalissima risiede nell’essere una produzione italiana (e ucraina, certo) che si stacca dalla media nazionale per la cura della regia e per il tentativo di costruire una serie di sottotesti un attimo più profondi che accompagnino la vicenda principale.
Come atmosfere siamo dalle parti di Kaurismäki, ambientazioni spoglie abitate da genti semplici, l’ironia che percorre il film invece è meno sottile ma più fragorosa e amichevole ed esplode in diversi episodi spassosi. Pur mancando dell’acume del maestro, il regista Andrea Magnani può pregiarsi di un’astuzia sensibile alle geometrie e di un goloso istinto per le inquadrature col quale stana suggestioni pittoriche da ambientazioni apparentemente povere, facendo brillare scenari nebbiosi e liberando il respiro di panorami effettivamente potenti. Un’attenzione sobria, mai invadente o leziosa che avvolge il film silenziosa fondendosi col senso di morbida innocenza incarnata dal protagonista.

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