La Tartaruga Rossa

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la tartaruga rossa

28 marzo 2017

Sgombriamo subito il campo da un equivoco.
“Prodotto dallo Studio Ghibli” NON significa “Fatto da Miyazaki”.
In questo caso anche se buona parte dei soldi spesi sono giapponesi, la produzione, lo studio, lo sviluppo e l’animazione (sì, è un “cartone animato”) sono francesi e belgi.
La storia è quella di un naufragio, un uomo in balia dei flutti approda solo e disarmato su un atollo deserto.
Immagino che tutta la prima mezz’ora, in cui più che l’isola si esplora lo sconcerto e la solitudine del nostro eroe, possa avere molte affinità con Cast Away. Immagino, perché quel film non l’ho visto (a me Tom Hanks sinceramente insomma anche no), però quand’ero piccolo avevo in casa una versione a fumetti di Robinson Crusoe, e sicuramente l’approccio e l’estetica di questo film me lo ricordano davvero tanto.
Ma se il personaggio di Defoe era figlio dell’Illuminismo, e con la forza della Ragione riusciva a imporsi sulle asperità di una terra selvaggia e a domarne le insidie peggiori per poi fare ritorno in Inghilterra, il naufrago di oggi non può nulla contro le implacabili leggi della Natura, che con spietata calma infrangono ogni tentativo di riconquistare la strada di casa.
Sotto un cielo volubile, tra invalicabili scogli e vigorose foreste, privo degli strumenti materiali e sociali che ne amplifichino l’efficacia, l’Uomo non è che un animale, predatore e preda insieme, anello di una catena alimentare né più né meno dei piccoli granchi che gli tengono compagnia sulla spiaggia.
Si rassegna così a vivere come può e dove può, e pian piano il film scivola dal registro di un naturalismo educato a quello dell’allegoria universale, trasformando il naufragio e le sue conseguenze in una classica storia di formazione: uomo inizialmente confuso e in difficoltà conosce e conquisa donna con la quale crea una famiglia che dovrà proteggere e dalla quale nascerà un figlio che si farà uomo e padre a sua volta.
Il tutto girato e confezionato in modo elegante ed impeccabile, senza nessun dialogo inutile e con un’animazione che non rinuncia mai alla sua sintesi pulita e garbata, ma che riesce sempre a restituire tutto il senso verista e vivido delle diverse tensioni emotive che si avvicendano nel racconto.
Se tutto il comparto visivo risulta pienamente appagante e sinceramente apprezzabile, non si può non rimanere profondamente delusi dal sottotesto ideologico di una storia che si rivela miseramente reazionaria.
Una storia di formazione certo, un’allegoria semplice e apparentemente innocua. Ma inchiodata con forza ad un’ottica esclusivamente maschile. Un maschio il naufrago che innesca la trama, un maschio il figlio che ne prosegue le gesta. Gli unici personaggi che “sentono” qualcosa. Tra di loro la donna è l’accessorio indispensabile, quasi a malincuore.
Compare dal nulla quando necessario, si concede alla bisogna, assolve alle sue funzioni di partoriente e di genitrice di un altro uomo che a sua volta se ne andrà per la sua strada, e infine scompare in coincidenza dell’estinguersi dei bisogni del suo maschio.
E’ davvero possibile nel 2017 vendere questo tipo di visione?
E’ giusto e corretto travestirsi da favola romantica per suggerire che, in fondo, questa cosa del progresso e della Ragione è arrivata troppo in là? Che sarebbe bene fare qualche secolo di passi indietro e tornare a tempi in cui l’uomo era libero di assecondare i propri istinti e aspirazioni mentre alla sua compagna non restava che servirlo al meglio?
Siamo parecchio lontani dalle eroine di Miyazaki. Sono passati trentacinque anni da “Nausicaa nella valle del vento” e questo guscio vuoto dentro ad un guscio vuoto. Anni che però sembrano essere trascorsi al contrario.
Forse, come al solito, starò esagerando a psicanalizzare troppo quello che alla fine è solo un “cartone animato”, in fondo questo discorso potrebbe anche starmi bene così, ma sinceramente credo che coi tempi che corrono non ci fosse davvero bisogno di un film come questo.

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