Il Mio Godard (Le Redoutable)

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il mio godard (2)

2 novembre 2017

Francois Truffat una volta ha detto che quando si riesce ad alternare l’umorismo con la malinconia si ha un successo, ma quando le stesse cose sono nel contempo divertenti e malinconiche, è semplicemente meraviglioso.
Qui siamo dalle parti del primo caso, un film che non sarà mai un capolavoro ma che è gradevole dall’inizio alla fine e che dentro ha di tutto. Intanto ci sono i cartelli, poi ci sono la Storia grande e le storie piccole, il Cinema e l’amore, ironia pungente e tristezze profonde.
Nel 2011 Michel Hazanavicius sbancò gli Oscar con The Artist, un sorprendente omaggio all’epoca del muto il cui punto di forza furono le invenzioni registiche che riprendevano vecchi trucchi di un cinema che aveva un senso in meno ma un bel po’ di magia in più.
Oggi Hazanavicius riprende in modo ammiccante e irriverente gli stilemi della Novelle Vague per tratteggiare la figura di Jean-Luc Godard dalla prospettiva intima di Anna Wiazemsky, compagna del regista negli anni attorno al ’68.
A pochi mesi dal Maggio fatidico, intercettando la rivolta e il fermento attorno a lui (e dai suoi film in un qualche modo fomentati), Godard rinnega le opere precedenti ossessionato dal portare avanti la sua missione sovversiva e iconoclasta.
Voltando le spalle al pubblico e alla critica, intraprende una svolta radicale dedicando i suoi sforzi a connotare il suo cinema di una valenza politica allineata all’ideologia maoista e marxista.
Un passo falso che lo precipita dalle stelle alle stalle vittima delle naturali contraddizioni tra politica e arte, e che metterà alla prova il suo rapporto con la giovane moglie e musa.
Nei panni di un Godard spocchioso e pasticcione c’è coso, in quelli leggeri e spesso mancanti di Anna c’è Stacy Martin. Poi sì, ci sarebbe anche la Berenice Bejo ma il regista (che è suo marito) la sacrifica un po’ troppo nella parte dell’amica della coppia.
Il titolo originale “Le Redoutable” indica qualcuno di formidabile o di temibile, prende spunto da una notizia alla radio e dà corpo a una serie di giochi di parole che ben focalizzano il carattere ambiguo che percorre tutto il film, il cui spirito si posa a metà tra il ritratto privato e la caricatura dissacrante, tradendo un che di velenoso nelle intenzioni dell’autore.
Pur non mancando di omaggiare la grandezza del Maestro nello slancio rivoluzionario verso un cinema che si stava cristallizzando in modelli stanchi e sterili, Hazanavicius pare divertirsi parecchio a coglierlo in un momento di particolare debolezza artistica e umana. Gli scivoloni e le continue rotture degli occhiali alludono chiaramente a una difficoltà di equilibrio e di visione, mentre la Nouvelle Vague con tutti i discorsoni sul ribaltare le regole e sulla necessità di continue rivoluzioni si infrange con sarcasmo crudele sulla battigia dell’incanto e disincanto.
Hazanavicius sembra proprio volersi togliere qualche sassolino dalla scarpa delegando il suo punto di vista al contadino che presta l’auto a una comitiva di cineasti di ritorno da Cannes che si scannano tra loro nel tentativo di convincere il proprio pubblico a non accontentarsi di un cinema di evasione. Saccheggiando i trucchi imparati dai maestri e piegandoli a una funzione quasi esclusivamente ludica e divertente, li svuota della loro audacia, riprende per i capelli la Novelle Vague per rificcarla con ripicca nella gabbia dell’intrattenimento leggero.
Di carne al fuoco ce n’è parecchia, quindi, soprattutto per una quasi commedia.
Io delle volte vado a vedere dei film che poi mi chiedo a chi è che potrebbero piacere, a parte gli impallinati.
Ecco, questo film invece vorrei che lo vedeste tutti.

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