8 maggio 2017
Sequel di Prometheus e capitolo -2 (o forse -3) di Alien.
Dove si racconta di come l’equipaggio della nave colonia Covenant, destinata al pianeta tal dei tali, preferisca una sosta su di un altro mondo dove troverà la carneficina che tutti ci aspettiamo.
Pronti via siamo già naufraghi e orfani, la banda di superstiti è meno assortita delle altre volte, in più sono praticamente tutte coppie e questo creerà ben più pericolo che una squadra di xenomorfi affamati.
Ad ogni modo questo è un film di Alien perciò sappiamo già che la ragazza giovane riuscirà a salvare la buccia mentre gli altri cadranno uno dopo l’altro.
Così come sappiamo che ci saranno androidi col sangue bianco, tempeste di qualcosa che ostacola le comunicazioni ed astronauti navigati che sputeranno per terra e non rispetteranno i protocolli.
Al riparo da qualsiasi rivoluzione o stravolgimento dei canoni della serie quindi, Covenant è un bel film d’azione, con diverse scene girate molto bene e una parte horror sufficientemente paurosa.
Il film è pieno di citazioni più o meno consapevoli, sia i personaggi che i macchinari si rifanno molto di più al secondo Alien che non ai precedenti, e tra le righe c’è anche molto 2001 Odissea nello Spazio, sia per certe inquadrature che per il rapporto ambiguo che gli androidi hanno con i loro “padroni”. Quindi alla fine io sono rimasto abbastanza contento, si poteva certamente fare di meglio, ma resta un film che sta in piedi, fila via bene, e che non manca di una dose bella massiccia di sbudellamenti e mostriciattoli imprendibili e sanguinari.
Di sicuro funziona meglio di Prometheus, che per la prima ora è molto bello, ma poi in cinque minuti succede di tutto senza uno straccio di spiegazione che tenga insieme le cose, e te rimani lì a guardarti attorno come se avessi perso le chiavi.
In Covenant forse accade il contrario: le parti migliori sono quelle di caccia e di scontro con gli Alien, mentre ci sono troppe scene eccessivamente generose di spiegoni che rallentano il tutto.
Ridley Scott sembra tenere molto ad avvolgere la sua saga di significati filosofici che, se uno resta al primo capitolo, c’entrano come i cavoli a merenda. Il film del 1979 era perfetto nella sua semplicità: un killer caccia un gruppo di civili pressoché inermi in uno spazio ristretto.
Punto. Finito. Riga.
Nelle pieghe della suggestione è nata una mitologia fatta di sequel e teorie e indizi che oggi sembra obbligatorio esplorare. Ma è proprio dove lasci qualcosa di non detto che la fantasia può lavorare e creare le condizioni per il mito. Se invece cominci ad arrampicarti per dare delle spiegazioni ad un film dove una volta devi avere il casco, l’altra volta no, una volta a questi gli spari e crepano, l’altra volta li devi fondere dentro una fornace sennò ciao che t’amavo, finisci che ti ritrovi a salire una scala fatta di sapone.
Tanto più che gli autori non sembrano avere nemmeno gli strumenti intellettuali per portare in fondo quel discorso sulla creazione e sul rapporto tra creatore e creatura che sembra premergli tanto.
Voglio dire: vorresti trattare temi universali che riguardano l’umanità (chi siamo, da dove veniamo, ‘ndo annamo), ma poi per te la razza umana si riduce sempre agli stessi quattro stronzi che si fanno accoppare come dei fessi. Ovviamente tutti bianchi, tutti giovani, tutti pronti a fare di testa loro. E se sono religiosi sono cattolici. Un po’ pochino per parlare di Umanità nel 2017. E metterci due Fassbender non basta.