4 maggio 2017
Nella scena iniziale si vede un trattore in un campo all’alba. Il guidatore cerca e dissotterra bombe della prima e della seconda guerra mondiale rimaste inesplose.
Questa è la metafora che servirà da chiave per la lettura del film, che racconta di come Pauline, una giovane e volenterosa infermiera di una cittadina della provincia francese, venga coinvolta nella campagna elettorale delle comunali.
ll partito che mette gli occhi su di lei è un fantomatico “movimento né di destra né di sinistra”(*) guidato da una non più giovane signora bionda che è la figlia di un tale che per anni ha guidato una formazione neofascista.
(pur utilizzando i nomi di fantasia consigliati dalla prudenza e dagli avvocati, il contesto sembra abbastanza chiaro)
La strategia di questa fazione è di cercare figure positive tra “il popolo” e vestirle dei colori tipici di queste formazioni “rivoluzionarie”: discontinuità con la classe dirigente, identitarismo, nazionalismo, populismo.
Pauline è perfetta: giovane, carina, madre single di due figli, si ammazza di lavoro ed è costantemente a contatto con tutti i guai che “la gente” deve attraversare ogni santo giorno.
Chi meglio di lei che incarna l’ideale dell’elettore e del candidato puó legittimare l’immagine di un partito che vuole presentarsi vicino agli sconfitti della globalizzazione?
Peccato che il nuovo ragazzo di Pauline sia un fascio, di quelli che prendono le cose parecchio sul serio, di quelli che fanno le ronde, e che menano.
Esattamente quel tipo di passato e quell’eredità da cui il nuovo partito vorrebbe affrancarsi.
A Casa Nostra è un film buio, girato sostanzialmente in penombra, in cui i pochi lampi di luce sono falsi e provengono dai flash dei professionisti della campagna elettorale.
Sebbene la prospettiva politica diventi man mano evidente, si sforza per tutto il tempo di mantenere una certa obbiettività nel presentare le ragioni di chi sceglie, per stanchezza o per ideologia, di appoggiare uno schieramento che si riempie la bocca di parole come “popolo”, “nazione” e “cristianità” nel tentativo di evocare un passato mitico mai davvero esistito.
Nella parte centrale del film viene evidenziato il funzionamento della macchina propagandistica, mostrando una serie di esperti che indottrinano i candidati esordienti sulle migliori strategie di comunicazione da adottare. Questi consigli sono neutri, adattabili ad ogni situazione ed assolutamente svincolati da qualsiasi fazione politica.
Pur attaccando in modo diretto l’opportunismo spregiudicato di chi ispira e dirige i movimenti populisti cavalcando le paure e le difficoltà di una classe media impaurita, il film punta il dito contro chi, mancando al suo ruolo ed ai suoi valori, ha creato quel vuoto ideologico e politico che questi nuovi partiti hanno famelicamente occupato. I due personaggi che rappresentano l’ala progressista (di sinistra e di centro-sinistra), capiscono, sentono, che quello che succede è sbagliato, eppure non riescono a trovare le parole per spiegarsi, per far capire dove e come questa deriva sia falsa e fallace. La loro è una reazione violenta, si trincerano nel mutismo dell’arrocco, oppure alzano le mani, incapaci di articolare un discorso che possa arrivare a chi oggi vede disintegrare le proprie certezze e fomentare le proprie paure.
Gli unici personaggi che riescono ad esprimersi sensatamente sono due francesi figlie di immigrati, per questo stigmatizzate ed implicitamente estromesse dalla discussione politica.
E’ questa assenza di dialettica che arriva forte nei momenti più drammatici del film, momenti in cui servirebbe trovare parole nuove ed efficaci per opporsi all’imbiondimento dei costumi, ma in mancanza di questo sforzo non resta che rassegnarsi alla maschera dei parolai che ripetono concetti e formule ormai ossidate.
Le bombe che il trattore trova all’inizio, sono quelle che le socialdemocrazie non hanno saputo disinnescare, che hanno riposato nella terra umida per settant’anni e che ora non vedono l’ora di scoppiare.
(*) da qui in avanti l’uso delle virgolette è ad esclusiva protezione del buon senso mio e di chi davvero non ce la fa a prendere sul serio certe sciocchezze.