Nell’anno 2018 l’Umanità ha sconfitto il tartaro, ma è ancora intrigata nella sanguinosa guerra contro le Macchine.
Una pattuglia di ribelli dai denti bianchi assalta un centro esperimenti dei Robot per sabotarlo e mettere in salvo i prigionieri cavie, ma durante il combattimento che segue l’irruzione, quasi tutti gli umani vengono uccisi. Unici superstiti, John Connor, il carismatico leader della “resistenza” (no, non lo scriverò con la maiuscola, per carità), e tale Marcus, ex-galeotto, ed ex-umano, morto da quindic’anni e costretto a sua insaputa da Skynet ad impersonificare un nuovo modello di Terminator androide, in parte umano e in parte macchina, per questo più ambiguo e più subdolo, ma per questo anche più difficile da controllare.
Se Connor riesce a far ritorno dai suoi, Marcus si ritrova, come vuole la tradizione, nudo, spaesato e a piedi. Nel suo vagare arriva a Los Angeles, dove s’imbatte in Kyle Reese e in una bambina nera e muta che l’accompagna. Kyle Reese è il ragazzo, futuro protagonista del primo film e destinato ad essere il padre del messia Connor (non scrivo con la maiuscola nemmeno messia. ok?). La bambina nera muta invece non si sa chi sia e non ci si spiega neanche il suo ruolo nella storia. Per una serie di vicende, inseguimenti e combattimenti, i tre vengono divisi e mentre Reese e la bambina nera muta vengono catturati da un robot grandissimo e trasportati a nord alla base di Skynet, Marcus viene in contatto con la resistenza, tramite l’incontro fortuito con la bella ribelle Blair.
Nel frattempo Connor e i suoi hanno approntato un piano per attaccare tutte le macchine e Skynet in particolare, pare infatti che i droni siano sensibili ad una particolare frequenza ad onde corte che ne inibisce il funzionamento. Il piano della “resistenza” prevede di bombardare la base nemica facendosi scudo di questo segnale radio. Ma nella base è ormai fatto prigioniero il buon Reese, e Connor non può permettere che il suo futuro padre venga ucciso prima di rispedirlo nel futuro, appunto. Pena l’annullamento del primo film e la sua conseguente nascita. (e poi Schwarzenegger lo senti tu…). Decide così, contro il parere dei suoi cinici superiori, di intrufolarsi in una qualche maniera in Skynet per tentare il salvataggio dei prigionieri. Per fare questo, dopo aver vinto le sue riserve in fatto di fiducia, si serve di Marcus come alfiere. Il piano sembra procedere bene, ma a un certo punto si scopre che: A) la frequenza così temuta dalle macchine era un inganno di Skynet stessa per far abbassare le difese degli umani. B) Marcus è da sempre controllato dai suoi costruttori che si sono serviti di lui per attirare sia Connor che Reese sotto lo stesso tetto. A questo punto le cose sembrano andare in vacca, spuntano Terminator grossi e incazzati che danno la caccia ai nostri eroi, che paiono morire e rialzarsi più volte di quante te ne aspetteresti da un corpo umano (a parte il mio, ovvio). Di riffa o di raffa, alla fine i buoni ce la fanno a salvare le bucce e spianano la strada per un quinto film, dove probabilmente si parlerà di viaggi nel tempo e di robot sgodevoli.
Ma cosa dire oggi di quest’ultimo Terminator? Intanto che s’inserisce a metà strada tra Guerre Stellari e Matrix. E questo è un peccato, perché la saga aveva dalla sua già una mitologia bell’e fatta e disponeva del prezioso patrimonio dei primi due capitoli, appena intaccati da un terzo episodio meno epico ma affatto scadente. Invece sembra che gli sceneggiatori non abbiano creduto fino in fondo alla forza del progetto, infarcendo il film di rimandi e allusioni ad altre saghe, e inserendo di tanto in tanto, a rotta di collo nel finale, episodi sciocchi, banali e ridicoli che rallentano il ritmo delle scene più concitate, affossando così una pellicola che aveva tutte le carte in regola per farcela da sola. Il film comincia bene, le prime scene sono incazzate e frenetiche, la fotografia è accattivante e si è subito coinvolti nel conflitto impari tra umani e le macchine, gigantesche e inarrestabili. La parte centrale, invece, affonda nel clichè, perdendosi nei vari “Ehi tu porco. Levale le mani di dosso” e altri momenti di pari originalità. Quando sembra poi che si arrivi ad un finale in grado di rialzare il livello, gli ultimi venti minuti sono una serie ininterrotta di trovate bizzarre e ridicole, Terminator morti che vengono riattivati come le batterie di un’auto, trapianti di cuore fatti in quattro e quattr’otto sotto una tenda in mezza al deserto, e via così… D’accordo la sospensione dell’incredulità, ma Santa Pazienza, un po’ di contegno!
Buono per i fans, insomma.
Ultime annotazioni a margine: Christian Bale è bravo, e si merita tutte quelle fighine che gli muoiono dietro. Questo film, infine, conferma quanto il cinema e la società americane siano fortemente attratti e affascinati da quest’idea della resistenza ad un regime o ad un “impero del male” Risvolto curioso, dato che gli Stati Uniti rappresentano il più importante impero egemone degli ultimi cinquant’anni, che a livello culturale e civile tende a far piazza pulita di qualsiasi remora si trovi in conflitto con la sete di profitto. Ancora più curioso come da noi, valori come la Resistenza (questa sì, con la maiuscola) stiano invece passando di moda. Ma questa è un’altra storia. Un po’ più triste.