Abbandonata dal marito e spinta da ristrettezze economiche, una non più giovane madre fa combutta con un’indiana prestandosi al contrabbando di clandestini cinesi dal Canada agli Stati Uniti. Il film è tutto qui. Nella desolazione dei luoghi e delle vite di persone spremute da un consumismo che lascia ormai solo carogne. Mors tua Vita mea è il mantra che i personaggi di questo noiosissimo film masticano per proteggersi dal freddo della landa, ossessivamente ribadito, specchio del gelo interiore di chi si è indurito in una lotta per la sopravvivenza che non concede pietà o rimorso. Il crimine paga, quando dal prossimo tuo non c’è conforto, solo grane. Orecchie sorde e lingue rancorose. Blatte isteriche si affannano sul ghiaccio scivoloso e sottile di un disastro spesso sfiorato, mai consumato. In attesa di uno schianto che non arriva, tutto si decompone lentamente. L’inedia inesorabile dell’assenza di speranza è cammuffata da un finale dipinto di un pastello troppo soffice per consolare.
Come quando ti dicono che non è così. Ma tanto te lo sai che è così.