Stella non è un film semplicissimo. Ambientato a Parigi alla fine dei settanta, è girato come se fosse realizzato all’epoca. Dai colori, ai costumi, alle macchine, all’effetto sgranato e soffuso. Racconta il primo anno di scuola (media?) della piccola protagonista, Stella, appunto. Una bimba un po’ particolare, cresciuta da due genitori sui generis, che gestiscono una locanda abitata dalla tipica cricca di mosche da bar che uno si può immaginare, tutta gente molto occupata a divertirsi e a consolarsi della vita. Così Stella impara da sé, e dal bar, il necessario per sopravvivere in un mondo cattivo. È una tipetta dura, insomma, ed il fortunato inserimento in questa nuova scuola prestigiosa rappresenterà un ostacolo impegnativo. Perché la bimba, sentendosi inadatta e fuori luogo, diffida delle sue compagne, e del loro modo di vivere. Ma grazie alla sua amica dalla faccia tonda, Stella imparerà a superare questa diffidenza e accetterà di integrarsi in un mondo all’apparenza ostile.
Pur non mancando di momenti lenti e soporiferi, questo film riesce a farsi guardare volentieri, grazie alla simpatia per le vicende della protagonista e ad una sottile e continua tensione che suggerisce la precarietà della condizione di questo clan borderline di cui la piccola fa parte. Curioso il fatto che contenga riferimenti ai due film francesi che hanno sbancato in questi mesi: La Classe per il contesto scolastico e sociale, e Giù al Nord, per la divertente ironia della regione del nord della Francia, che i luoghi comuni vogliono piovosa e abitata da zotici bifolchi.
Recitato egregiamente, e diretto con occhio premuroso, Stella riesce a mantenersi dolce senza diventare amaro, regalando infine allo spettatore, la confortevole sensazione di una ferita che guarisce.