Madrid. Harry Caine è uno scrittore cieco. Tutto quello che rimane di Mateo, regista scomparso da quasi quindici anni in seguito agli eventi scatenati dalla sua storia con (Magda)Lena, fascinosa amante insofferente del ricco e potente Ernesto. La morte di quest’ultimo offre ad Harry l’occasione di affrontare il disgelo dal suo esilio. Il racconto del tempo che fu rimbalza nelle parole dei testimoni feriti, a ricomporre i frammenti di un passato abitato da passioni irruente, spezzate nel coito degli ardori dall’affanno del controllo e della vendetta.
Almodovar fa il suo film. Alla ricerca di immagini da ricordare, fedele alla linea da seguire. Racconta di passioni impossibili da domare, sottolineando con insistite deformazioni vocali una distanza incolmabile, enfatizza pulsioni che superano per intensità i limiti cui la parola le costringe. Omaggia il cinema, ed il suo mondo, Audrey, Hitchcock, Rossellini, solo gli esempi più ammiccanti. Una pellicola attenta, dunque, ricca e volenterosa. Ma al di là dell’impeccabile esercizio di stile, questo suo ultimo lavoro non è all’altezza dei più recenti. Se mi sono piaciuti tanto Volver e Parla con Lei, di questo episodio farò fatica a ricordare qualcosa di particolare, ad eccezione di una Penelope Cruz ancora una volta all’altezza della situazione, capace da sola di reggere un film che, di fatto, si spegne quando lei esce di scena. Appunto.