DELTA

regia: Michele Vannucci
produzione: Italia, 2022 – 105’
visto: Cinema Odeon

Dire che Delta è un film brutto potrà sembrare ingeneroso, ma andando oltre la fascinazione per i luoghi e l’indubbio gusto nel comporre certe immagini, Michele Vannucci non riesce a infondere la stessa passione e lo stesso scrupolo per aspetti importanti che, soprattutto in fase di scrittura, risolve in modo troppo sbrigativo. La storia è quella del duello tra un pescatore di frodo (Borghi) e un ambientalista (Lo Cascio) con la missione di proteggere l’area del fiume Po dove si svolgono i fatti. Al vero scontro, però, ci si arriva solo dopo un bel po’ (Po/po’… capita?). Da principio il personaggio di Borghi vive da qualche parte nell’est dell’Europa (qualcuno dice in Romania, ma non ci sono riscontri, se non forse la targa del furgone?), con una specie di famiglia adottiva tipo clan, che si arrangia con la pesca illegale. Messi alle strette dalle guardie e dalla miseria, si convincono tutti a spostarsi nel polesine, da dove scopriamo venire Borghi, con l’intenzione di proseguire l’attività. Il loro arrivo agita la comunità locale, già esasperata dalla difficile convivenza tra le esigenze ambientaliste e quelle della sussistenza. Lo Cascio prova a mediare, coinvolgendo le istituzioni, ma l’assenza di iniziative spinge gli elementi più irruenti alla rissa. Da qui si scatena un’escalation che porta via il film dalle tematiche sociali e antropologiche e lo trascina dentro una specie di Rambo. Con la trama mi fermo qui, evitando di fare anticipazioni e svelare quei pochi colpi di scena che comunque ci sono. Quello che non va, in questa avventura, è la scrittura dei personaggi, il modo in cui si sviluppano gli eventi, l’indolenza con cui vengono maltrattati due grandi attori come Borghi e Lo Cascio. Quest’ultimo soprattutto è ridicolizzato da una parlata a metà tra il bolognese e il romagnolo che, nonostante tutto il talento e la dedizione, non gli appartiene e suona parodistica come in un film di Pupi Avati. Al di là di una critica che fuori dai luoghi interessati può anche non essere colta, il suo personaggio evolve in modo incoerente con quanto mostrato in precedenza, piegandosi forzatamente a una narrazione interessata più che altro a far scontrare le due star. Se Lo Cascio parla male, Borghi pronuncia la prima parola dopo trenta minuti, e da lì in avanti si esprime sostanzialmente a grugniti. Il suo personaggio è un fuggiasco. Punto. Non è nient’altro. Non si capisce perché è andato via, non si capisce perché è tornato, non si capisce perché spara a chiunque gli attraversi la strada tranne all’unico che avrebbe motivo di accoppare. E questi sono i protagonisti. Cosa dire del resto del cast? Dalla parte di Borghi, i suoi “familiari” non hanno nessuno spessore e nessuna personalità, restano sempre sullo sfondo senza mai prendere parte attivamente a quello che succede. Da quella di Lo Cascio, l’unico personaggio un po’ e un po’ è la sorella, per il resto, anche qui, tutto arredamento. La stessa barista bionda, ex di Lo Cascio che si invaghisce di Borghi al primo grugnito, non ha né arte né parte, si capisce che vuole scappare da dove si trova (e vorrei vedere!) ma non si capisce perché poi ci ritorna, sapendo di finire arrestata, né soprattutto si capisce per quale motivo, volendo assolutamente difendere il Borghi, non parli ai suoi paesani del fatto che una certa vittima sia proprio quello che li stava fregando. Insomma, non voglio fare il polemico a tutti i costi, ma Delta svela troppo in anticipo le sue intenzioni, e dimostra senza pudore come tutto sia apparecchiato solo per mettere in scena una resa dei conti in un’ambientazione suggestiva, anche a costo di inventare un funerale acquatico che scimmiotta un qualche antico rituale mistico, o di trasportare ottanta chili di cristiano da in mezzo a un bosco a dentro una vecchia fabbrica abbandonata (ma perfettamente funzionante) nel tempo di uno stacco.
C’è un’idea di fondo alla base del film di Vannucci, che avrebbe potuto essere esplorata meglio se si fossero lasciati da parte certi dettagli caricaturali e ci si fosse concentrati di più sulla parte avventurosa, invece la regia ha favorito nella prima parte un verismo idealizzato, per poi scatenare il conflitto nella seconda parte. Peccato che i pochi momenti drammatici accadano fuori dall’inquadratura, e che la tanto desiderata resa dei conti si risolva in una sequenza di assoluto anticlimax, con continui rovesciamenti tra due personaggi che non hanno nessun motivo per risparmiarsi.
Troppo poco e troppo sciatto per tenersi stretti gli spettatori.

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