Crimes of the future

Regia: David Cronenberg
Produzione: Francia, Grecia, Canada, UK, 2022 – 107’
visto: Arena Puccini

Diciamo subito che a qualcuno potrebbe anche non piacere questo ultimo film di David Cronenberg.
Voglio dire che non è che debba piacere per forza solo perché se ne parla tanto.
Le cose belle che ci sono sono l’atmosfera anni ottanta, Viggo Mortensen che sembra Rutger Hauer in Blade Runner, Léa Seydoux che è sempre brava, e Kristen Stewart che tutti dicono che a recitare è una pena ma che però da vedere è sempre una bella cosa. Infine c’è di bello anche una trama che, pur non essendo troppo intricata, ci mette comunque un po’ a farsi capire.
Le cose meno belle sono invece una certa prolissità e soprattutto il mancato aggancio emotivo tra i protagonisti della storia e lo spettatore.
Poi certo, la cosa più importante di tutte, che a seconda dei gusti può stare tra quelle belle o quelle meno, è il campionario gore, fatto di mutilazioni, esposizione di organi interni che diventano esterni, violazione delle carni e via così.

Se uno conosce un po’ i film più famosi – e più antichi – di Cronenberg, troverà la strada spianata e sarà facilmente portato a paragonare questo ultimo lavoro con quei grandi classici.
Se uno invece Cronenberg non lo conosce, o se la sua conoscenza è tarata sui titoli degli ultimi vent’anni (A History of violence, Cosmopolis, Maps to the stars, eccetera), potrebbe in effetti accusare il colpo, trovandosi davanti a situazioni indubbiamente estreme.
Molte recensioni guardano giustamente al primo scenario, approfondendo i rapporti tra i diversi episodi e momenti della filmografia dell’autore, io però vorrei provare a concentrare il ragionamento solo su questo film, per riuscire magari a rispondere alla domanda se valga o meno la pena di andarlo a vedere.
L’indicazione è comunque sì, perché è innegabile che si tratti di qualcosa di particolare, con una sua specifica atmosfera e con all’interno un nucleo concettuale solido, un discorso che l’autore tiene a fare col suo pubblico.

Crimes of the future si svolge in una specie di realtà parallela, dove a un certo punto degli anni ottanta (intendo del ventesimo secolo. millenovecentottanta), la tecnologia invece che nel silicio e nei semiconduttori, ha preso a svilupparsi nel materiale organico. Al posto dei telefoni cellulari, dei computer e delle reti telematiche, che nella nostra realtà hanno spalancato le porte verso l’esterno, in questa linea temporale parallela è stata la fisiologia umana a svilupparsi, producendo all’interno dei corpi mutazioni inspiegabili e continue, tali da influenzare i rapporti interpersonali.
Uno degli effetti di queste mutazioni è una forte ipoestesia, cioè la riduzione quasi totale della percezione del dolore, condizione che rende possibile sopportabile l’idea che crescano masse di cellule tumorali che sempre più spesso evolvono in nuovi organi dalle funzioni ignote.
Tutto quello che succede nel film è relativo a questa post-umanità e a tutto il sistema di soggetti che le orbitano attorno con intenzioni e aspettative diverse. Alcuni ne sono terrorizzati, altri affascinati, altri ancora seguono il nuovo scatto evolutivo per documentarlo, registrarlo, oppure per vigilare su ulteriori derive. Poi ci sono quelli come Saul e Caprice, i protagonisti, che ne esplorano gli effetti più raccapriccianti e ne propongono una dimensione artistica estrema. Il corpo di Saul produce con un certo ritmo un bel numero di neo organi, la sua assistente e compagna Caprice li manipola e li decora in una specie di laparoscopia, poi li rimuove chirurgicamente durante seguitissime esibizioni pubbliche. Gli spettatori partecipano all’atto artistico osservando il corpo vivo e cosciente di Saul mentre viene violato, lacerato e ferito, e scrutano nelle sue smorfie alla ricerca di una remota vaghezza del dolore.
Alla mancanza di senso si sostituisce la mancanza di sensibilità. L’intorpidimento allontana la soglia del dolore ma anche quella del piacere, e gli abitanti del futuro, invece della pace dei sensi, vivono l’eterna frustrazione di chi non può entrare in contatto col proprio mondo se non attraverso esperienze estreme. La relazione carnale è tradotta in un’esperienza lacerante, dove più che il piacere, i nuovi amanti condividono il dolore.
Il titolo del film fa riferimento ai crimini del futuro, non a uno solo, e in effetti di comportamenti immorali ne troviamo diversi.
Oltre all’attività borderline dei due artisti, c’è anche una banda di accoliti che si nascondono e si nutrono di barrette sintetiche, ci sono misteriosi concorsi di “bellezza interiore”, ci sono archivi semi-ufficiali per la registrazione delle crescenti neoplasie, e ci sono foschi poliziotti che combattono il “nuovo vizio”.
Sopra a tutto c’è una megaditta, monopolista nella costruzione di strani macchinari comandati attraverso grumi di carne molle e umida, che persegue i propri obiettivi agendo ben oltre la legge.
Ma per vedere i crimini del futuro bisogna guardare anche tutto il gioco di sovrapposizioni tra la realtà che conosciamo e la realtà immaginata da Cronenberg.
L’ambientazione retrò capovolge l’immagine codificata del futuro e ci porta indietro nel tempo anziché in avanti. Dove dovrebbe esserci un iPhone c’è un vecchio Motorola grande come un mattone, dove dovrebbero esserci dei tablet ci sono delle tavolette di legno con dei lucidi.
La sedia organica “colazionatrice” poi, non può non ricordare il macchinario che inchiodava al tavolo Chaplin in Tempi Moderni. La stessa atmosfera generale, con scene a volte sporche, buie, così tipiche nei film degli anni ottanta, riportano a un’epoca andata.
Allora, se Cronenberg mentre parla del futuro ci mostra in qualche modo il nostro passato, forse quando parla dei crimini che succederanno vuole intendere quelli che si sono già consumati.
Sollevando lo schermo delle metafore, gli strani personaggi di questo film vivono le stesse condizioni che soffocano il nostro reale. L’incomunicabilità, la mancanza di risorse e l’abbondanza di rifiuti, l’insensibilità verso il mondo e verso il prossimo e l’attesa di una umanità nuova che si faccia carico degli errori del passato.
Sarà così? E chi lo sa. Quello che è sicuro è che il film è costruito su un gran lavoro concettuale e che i temi principali emergono in maniera relativamente chiara.
Dove probabilmente manca il bersaglio è invece nel dialogo con lo spettatore, che resta sempre lontano dal sentire dei personaggi. Il fatto stesso che tutti vivano dentro una specie di anestesia globale, priva il pubblico di una figura che gli trasmetta la sofferenza evocata da sequenze che vorrebbero essere truculente e perturbanti, ma che invece si lasciano vedere tutto sommato tranquillamente. Ma c’è probabilmente anche dell’altro a ostacolare una completa partecipazione al racconto. Per esempio c’è anche una vena ironica che scorre, fatta di doppi sensi e di allusioni, che forse sarebbe servita per alleggerire un film veramente disturbante, ma che in questo caso, dove si barcheggia incerti sul confine tra il capolavoro e il pastiche, sposta decisamente l’equilibrio verso la farsa. Il doppiaggio aggiunge poi un altro carico a questo scivolamento, tanto che in una scena che dovrebbe essere tra le più provocatorie, è praticamente certo che in sala si finisca tutti col guardarsi in faccia, certi di pensare tutti alla stessa cosa.

Sigla.
https://youtu.be/OEhhPCAFn2M

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