
Regia: Leigh Whannell
Produzione: Usa, 2020 – 124’
L’ennesimo remake della storia di uno scienziato che trova il modo di rendersi invisibile stavolta si sposta dal genere fantastico verso i territori dell’horror, spingendo molto sulla tensione, la paura e il brivido di una tecnologia che oggi come oggi potrebbe pure arrivare a realizzarsi.
In un attacco che richiama Hitchcock, si parte con la fuga in piena notte dell’eroina dalla casa del mostro. Fin dall’inizio, il tema di lei che scappa e di lui che la insegue non molla la presa un attimo, e il livello della suspense resta sempre piuttosto alto, con delle impennate notevoli allorché il cattivo può contare sull’invisibilità per insinuarsi nella vita della sua preda e spingerla in una trappola psicologica crudelissima.
L’ossatura principale del thriller è rinforzata dalla progressiva emarginazione subita dalla protagonista, l’onnipresente Elisabeth Moss. Il personaggio di Miss Scientology è una giovane donna vittima di una relazione tossica con un megamiliardario, che per motivi misteriosi si è perdutamente invaghito di lei.
Inizialmente è soccorsa dalla sorella e da un amico, entrambi poliziotti, ma a causa delle macchinazioni del suo stalker invisibile, si trova via via sempre più in difficoltà.
In questa chiave, il film non si limita ad attualizzare una vicenda classica, ma cerca di esplorare la contemporaneità, ambientandola in un contesto di famiglie allargate e/o disfunzionali, e mostrando – dove può – le difficoltà di una ragazza che non riesce a farsi ascoltare e a ottenere credibilità.
La regia di Leigh Whannell è interessante anche per come gioca con lo spettatore, spingendolo a scrutare inquadrature disabitate alla ricerca di qualcosa che di fatto non c’è, ma si può solo immaginare.
È un gioco che in effetti funziona, soprattutto all’inizio, data l’empatia immediata che si innesca con la protagonista in fuga e, soprattutto direi, dal fatto che il film si chiama “l’uomo invisibile”.
Peccato però che poi lungo la strada intervengano alcuni inciampi, a distrarre l’attenzione e diluire una tensione, che perdendosi espone i limiti di una sceneggiatura un po’ pigra.
L’estrema lunghezza della pellicola, più di due ore per una vicenda bene o male nota e dalle dinamiche autoestinguenti, lascia l’impressione che il tutto si regga su due o al massimo tre scene veramente riuscite, collegate tra loro da espedienti poco spontanei. Ad esempio anche in questo caso ci sono un sacco di persone che entrano e escono dalle case degli altri come niente, e alcune situazioni fortuite capitano un po’ troppo a proposito, sembra giusto per aiutare la storia ad andare avanti. Si può dire che siano peccati veniali per un thriller, che rispetto a certe precedenti trasposizioni dimostra coraggio e non sfigura per niente, ma che sarebbe stato forse più incisivo se fosse rimasto più asciutto.