
26 gennaio 2020
regia: Sam Mendes
produzione: Gran Bretagna, 2019 – 110’
Qualcuno deve aver detto a Sam Mendes che per vincere un Oscar avrebbe dovuto girare un film in finto piano sequenza, come in Birdman.
Qualcun altro deve essersi lasciato scappare che avrebbe dovuto raccontare una storia dove si affrontano delle gran sfide per andare da un posto all’altro, magari anche con delle cascate in mezzo, come in Revenant.
Lui poi avrà pensato che a un bel filmone di guerra, tipo Dunkirk, un Oscar non glielo avrebbe negato nessuno.
Nell’imbarazzo della scelta, deve aver quindi deciso di giocare su tutti i tavoli, mettendo su un carrozzone, che per carità di dio si guarda bene dall’inizio alla fine, ma che oltre a raccattare in giro spunti da altri film, in fondo non offre nulla di nuovo.
Il 6 aprile del 1917 una coppia di soldati inglesi, impegnati nel nord della Francia, deve consegnare a un battaglione lontano l’ordine di annullare un’operazione che finirebbe parecchio male.
Per farcela, entro la mattina seguente dovranno prima passare per una zona apparentemente abbandonata, poi infiltrarsi nel campo nemico pattugliato dai tedeschi e superarlo.
Della Prima Guerra Mondiale sappiamo tutti due cose: che è stata una guerra di trincea e che è stato il massacro più vasto e insensato della Storia.
Questi due concetti Sam Mendes li trasmette piuttosto bene, il suo piano sequenza si infila subito in cunicoli che vengono scorsi per la lunga in tempo reale, a passo d’uomo, calandosi nello spirito del momento, in una condizione di trappola claustrofobica, gomito a gomito coi soldati che della superficie non vedono niente se non le tracce delle raffiche e dei mortai lanciati su tutto ciò che si muove.
Ogni tanto bisogna stare fermi e nascosti, e ogni tanto qualcuno ti dice che bisogna saltare avanti tutti insieme per farsi sparare addosso.
Chi ci riesce torna indietro maciullato e si sdraia su qualche barella a piangere gli arti persi, chi non ce la fa, lascia i suoi resti a marcire nella nebbia e a farsi mangiare dalle mosche.
I due caporali protagonisti partono da questo assedio e devono procedere per diversi scenari, tutti molto belli, delle volte presi da Tarkovskij e delle altre da Kubrick, per completare la loro missione.
Il regista vorrebbe chiaramente assaltare lo spettatore sul piano sensoriale, attirarlo nello spazio e nel tempo dell’azione, ma il film è viziato da troppi elementi adulterati che ne svelano la natura fondamentalmente posticcia.
Non sarebbe molto educato fare confronti, ma quello che ha fatto Dunkirk al Cinema è qualcosa che proietta ancora un’ombra importante su chiunque si avvicini al film di guerra, e sebbene il conflitto non sia lo stesso, sono le stesse le dinamiche che Mendes sceglie per muovere i suoi personaggi.
Anche qui ci sono gli inglesi inequivocabilmente buoni contro i tedeschi cattivi e spietati, ma se Nolan rendeva i suoi nemici completamente invisibili per drammatizzare al massimo il pericolo e renderlo quasi metafisico, i tedeschi del 1917 vengono mostrati come i soliti stronzi, super equipaggiati e bastardissimi, che però a sparare non ci beccano neanche se stai scappando in un corridoio.
L’azzeramento di ogni complessità psicologica e storica del film di Nolan era compensato dal volume altissimo degli aspetti sensoriali e della tensione, e anche dalla complessità narrativa con cui manipolava il tempo della storia.
Guardando quello di Mendes invece si ha sempre la sensazione di essere ancora negli anni ‘Novanta, anzi più precisamente in un videogioco di quegli anni, perché più che seguire una trama, scorre il gameplay di un classico platform, con personaggi che attraversano ambientazioni diverse ostacolati da insidie, umane o naturali, via via crescenti fino al mostro finale.
I dettagli macabri che il regista ostenta vorrebbero forse denunciare la pestilenza della guerra e collegarsi al discorso sull’assurdità degli ordini subiti dalle disgraziate truppe, ma qualsiasi accenno di consistenza o di rigore viene vanificato da alcune scene cariche di un eroismo ridicolo, come in quella buffonata del prefinale, dove manca solo di sentire qualcuno urlare “Corri Forrest! Corri!”.
Sequenze strapiene di valoroso ardimento che piaceranno probabilmente al pubblico dei blockbuster, ma che fanno quasi ridere per quanto siano esemplari nel definire ciò che viene detto “un’americanata”.
Come quel tipo che pur di vincere alla lotteria compra tutti quanti i biglietti, Sam Mendes confeziona ad arte un film che più che altro se la crede un casino, composto di alcune scene indubbiamente molto belle, ma dalla sostanza leggerissima, impalpabile.
Nonostante questa natura paracula, dopo i Golden Globes e altri premi già rastrellati, possiamo tranquillamente aspettarci che 1917 vincerà la propria scommessa anche con l’Academy.
Contenti loro.