
29 Novembre 2018
Regia: Gianni Zanasi
Produzione: Italia, 2018 – 110’
Colorato, vivace, spiritoso, affettuoso: l’ultimo film di Gianni Zanasi è pieno di aggettivi.
Lucia (Alba Rohrwacher) fa la geometra free-lance di paese. Nel senso che non ha un impiego fisso, ma cerca di imbucarsi in qualche cantiere per offrire consulenze e portare a casa qualche soldo. Ha un compagno (Elio Germano) che sta lasciando, e una figlia-sorella (Rosa Vannucci) avuta giovanissima. Nonostante il disordine della sua vita Lucia è una che nel lavoro fa la punta ai chiodi, e anche se di base vuole bene a tutti e tutti le vogliono bene, i compromessi e le scorciatoie che vede prendere tutti i giorni le dan da fare.
Un giorno che è su un campo a fare dei rilievi incontra una che le dice che è la Madonna e che la spinge a boicottare la costruzione di un complesso che si chiama l’Onda e che non si capisce bene a cosa serva.
Lucia si spaventa, anche perché la Madonna comincia a braccarla, e siccome la vede solo lei, teme che lo stress le stia giocando un brutto scherzo.
L’evento mistico agita una giostra di situazioni e caratteri a immagine del disordine cosmico in cui tutti ci barcameniamo. Il disordine degli affetti, quello economico, quello familiare, e più in generale dei valori coi quali siamo cresciuti, che oggi vanno a sbattere contro una realtà che chiede di trovare altre strade per tirare avanti in modo decente.
Il tema della presenza del divino è maneggiato senza paura, con piglio scanzonato al limite del beffardo, e il registro leggero si mantiene per tutto il film, che risulta davvero divertente e piacevole da guardare.
Per non abbassare mai il tono generale, molta attenzione viene data ai cromatismi; luci e colori sono scelti e abbinati per diffondere un’atmosfera calda e rassicurante nonostante ogni tanto si affaccino sottili inquietudini.
L’attenzione a questo tipo di dettagli si rivela però eccessiva quando oltre alla funzione “decorativa” sembra voler mascherare difetti tecnici che restano comunque evidenti.
In alcune scene si avverte un’esagerata saturazione dei colori, mentre in altre, soprattutto verso la fine, qualcosa nei movimenti di camera e nella resa delle inquadrature stride inspiegabilmente.
Si tratta comunque di una pellicola che appartiene a un certo genere, quello delle commedie di provincia, quasi televisive, che provano a divertire senza particolari scatti.
Ci sono un po’ sempre gli stessi panorami e le stesse facce infatti: Battiston, Trabacchi, quello là che faceva il leghista in 1992, oltre ai già citati Germano e Rohrwacher; lei comunque è sempre bravissima, e capace di regalare sfumature importanti anche in un contesto fatto sostanzialmente di macchiette.
Confinato nei limiti della sua categoria, Troppa Grazia spinge sulla sua originalità e ogni tanto finisce per mettere le ruote nel fosso, ma riesce comunque a non impantanarsi e a mantenersi sulla strada voluta stuccando con la carineria alcune buche lasciate in giro.