Widows – eredità criminale

Widows

23 Novembre 2018

Regia: Steve McQueen
Produzione: USA, UK 2018, 128’

Va bene è un film “di genere”. Ma è un film di genere di Steve McQueen, quindi girato con classe indubbia e con dentro parecchie cose. Troppe cose? Vediamo…
Si comincia con una rapina che finisce malissimo. I componenti della banda vengono presentati in un avanti-indietro frenetico tra i momenti topici del colpo e alcuni flashback delle ore precedenti che li mostrano in una virilità stereotipata. Chi a pomiciare nel letto, chi ha appena finito di menare la compagna, chi le ha appena fregato dei soldi. Come detto la rapina finisce male, i banditi muoiono arsi vivi nell’esplosione del loro furgone in una scena che rischia di dire più del dovuto. Con loro sparisce pure il bottino, sottratto a una gang il cui capoccia, alle prese con ambizioni politiche, scatena gli sgherri contro le fresche vedove nel tentativo di recuperare il maltolto.
Costrette dalle necessità, le tre donne provano a organizzarsi per raggiungere la somma richiesta e salvarsi.
Sopra questo plot classico, che riprende una serie Britannica degli anni ’80, Steve McQueen appoggia i temi dell’attualità, restituendo un ritratto scoraggiante della società Americana.
La sua versione della storia è ambientata a Chicago, alla vigilia di importanti elezioni amministrative. Sono gli anni di Obama, e a contendersi il seggio sono l’erede di una ricca dinastia bianca e il rapace boss della banda locale appena rapinata. In entrambi i casi la campagna avrà esito infausto: il primo candidato sembrerebbe ben intenzionato, ma è disposto a flirtare con l’illegalità per raggiungere il potere, il secondo non fa mistero di mirare al sistema degli appalti per riciclare i suoi traffici nella legalità.
La Politica è vista come occasione di arricchimento e luogo del malaffare, a dispetto delle questioni di cui invece dovrebbe occuparsi. Questioni che bruciano il tessuto sociale di uno Stato di diritto sempre più debole, in cui i cittadini – e le minoranze in particolare – sono sempre più in affanno.
La scomparsa del capo dei rapinatori espone la moglie a diversi livelli di vulnerabilità. Innanzitutto sono una coppia interrazziale, lui caucasico e lei afroamericana, benestanti, ma con un figlio del colore sbagliato per guidare una bella auto, almeno a parere della polizia. Alla morte del marito anche la sicurezza economica vacilla, e le minacce che riceve la vedova sembrano concretizzare e esasperare le insidie che una donna sola deve affrontare ogni giorno.
Come lei, anche le sue due compagne offrono uno sguardo su realtà femminili altrettanto dure. La donna vista come oggetto sessuale, condannata al pregiudizio e a nascondere personalità e inclinazioni; e la madre lavoratrice, orgogliosa e indipendente ma incastrata tra i ritmi del lavoro, le bollette e gli impegni dei figli.
Nel realizzare il loro piano le tre protagoniste hanno modo di frequentare ambienti emblematici della decadenza in cui tramonta l’occidente, come le desolanti aste di auto usate o le inquietanti convention di armaioli.
Il tutto è raccontato da una regia pulita e precisa, in cui la mano e l’occhio dell’autore di Shame e 12 Anni Schiavo, emergono limpidi e rendono il prodotto finale levigato e solido.
Peccato che, pur usando un collante così raffinato, l’assemblaggio delle varie parti risulti troppo evidente rispetto allo sviluppo della tensione e della suspense. Durante le sequenze sulla Politica, ad esempio, sembra di guardare una serie di David Simon, e sebbene oggettivamente di qualità, tutte quelle parti nell’insieme appaiono discordanti dal resto del film. L’impressione è che l’impianto allegorico rubi la scena alla trama: i personaggi restano pochissimo approfonditi non riuscendo ad affrancarsi dalla loro natura artificiosa e perdendo così in credibilità e in empatia. Ognuno di loro vale solo per la funzione che occupa nella messa in scena, non va mai oltre lo stereotipo e compie azioni dettate esclusivamente dalle finalità del regista senza mai sviluppare una personalità credibile.
Il nocciolo del film sembrava voler essere il passaggio di testimone tra una realtà machocentrica congelata dai cliché e la volontà di rappresentarne una più sfaccettata e complessa, ma – forse per troppa foga – il risultato finale tradisce quella promessa.

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