3 giugno
(una canzone country contro il panico)
Di rapine e di colpacci Soderbergh ne ha già filmati un sacco. Tutte robe dove personaggi dalla spiccata personalità cercano il modo di fregare il sistema.
In questo ultimo lavoro incrocia le dinamiche del film di rapina con uno sguardo ai temi sociali già trattati in Erin Brockowich o in Bubble.
Jimmy Logan è un ragazzone tutto cuore che viene licenziato in uno di quei tipici gabbiotti in finto legno dove i capicantiere pagano o congedano gli operai. La sua vita pare ostacolata più dalla burocrazia che dalla leggera zoppia che si trascina. Vede la figlioletta in alternanza con l’ex moglie, il suo telefono è staccato per morosità, e quando rimane senza lavoro si decide a derubare l’autodromo cittadino. Jimmy però deve fare il colpo con il fratello, un barista monco reduce di guerra, convinto che sui Logan pesi una maledizione che inibisca ogni possibile lieto fine. Della famiglia fa parte anche la sorella Mellie, sveglia e attraente, in tutto e per tutto la reincarnazione della strepitosa Daisy di Hazzard.
Siamo nel West Virginia, non uno degli Stati Centrali, ma ficcato abbastanza in mezzo per non essere considerato nè Nord, nè Sud. Gente abituata a lavorare, magari di poco gusto e di poche finezze, ma affezionata a uno spirito pane e salame, che viene ritratta dal regista con molto affetto, adottando i modi della commedia e i tempi del film d’azione per far emergere gli elementi del degrado sociale di una provincia rincoglionita dagli show e privata di ogni assistenza, dove alla fine i più svegli sono i meno svegli.
Il piano strampalato dei Logan prevede infatti il supporto di comprimari altrettanto bizzarri: artificieri dalla dubbia affidabilità, cugini di campagna, e galeotti vestiti a righe come nelle vecchie comiche di Chaplin. Tutti dovranno concorrere alla riuscita di un piano in cui ogni dettaglio pare abbandonato al caso. Ma occhio alla Maledizione dei Logan! Che dentro una baraonda di cavilli e incastri fortuiti può sempre trovare la strada per rovinare la festa.
Comunque vada, grazie allo sguardo amorevole dell’autore, alle prove brillanti di un grande cast, e soprattutto a una fotografia caldissima, alla fine della corsa restano belle sensazioni e una gran voglia di abbracciarla e di essere abbracciati da questa gente un po’ svitata, testimoni distratti di un mondo che non risponde più a nessuna logica se non a quella dei moduli e dei call-center.
E allora facciamocelo un bicchiere, che in fondo è solo un altro “modo per allontanare il baratro”…