29 settembre 2016 ·
Questo è un film che se non avete già visto non lo vedete più, almeno in sala, dal momento che c’è rimasto solo due giorni. Magari lo trovate da qualche parte scaricato, ma in sala mi sa di no.
Non è che io conosca poi tanto bene Nick Cave, so che piace un sacco a della gente che mi piace un sacco, come i Marlene Kuntz e Jim Jarmush per dire. Ha fatto qualche pezzo niente male e un penultimo disco che non mi stanco mai di ascoltare. E poi c’ha la cartola di uno che se ti dice di andare a fare in culo te ci vai senza neanche fare un fiato. Perciò ero parecchio curioso di vedere questo documentario, per farmi un’idea un po’ più precisa di lui e per decidere finalmente se ci è o se ci fa.
Il film ti porta vicino vicino a Nick Cave, in un momento dolorosissimo in cui con la sua band storica completa la lavorazione di Skeleton Tree, l’ultimo album, nato dal trauma della perdita di un figlio (che se c’è una cosa che può far più male io ancora non l’ho scoperto).
Bene o male lo svolgimento del film è quello che ci si può aspettare: stralci di interviste e sessioni di registrazione tra sale d’incisione, oggetti costosi e musicisti, camere di albergo e micro spaccati di una vita quotidiana mai penetrata o svelata, ma sempre solo accennata, suggerita.
Quello che però stacca, ciò che nobilita e conferisce senso al documento è la schietta e vivida elaborazione del lutto. Perché di sentimento in effetti qui ce n’è un sacco. Si ragiona e ci si interroga a lungo su cosa farsene di tutto quel dolore, come affrontarlo e come gestirlo per poter andare avanti, specialmente su come questo enorme trauma interagisca con il processo creativo. C’è qualcosa in Nick Cave, tra i suoi testi dolenti e la voce, nella quale a stento si trattiene la tenebra, che rivela in controluce la continua tensione tra il bisogno di espellere da se il male ed il desiderio di non rendere pubblico un travaglio che vorrebbe tenere privato, separato ed estraneo a quella faccia che si offre al mondo ma che inevitabilmente ne porta tutti i segni. Massimo rispetto.