Terence McDonagh è uno sbirro col mal di schiena che si arrabatta tra il lavoro, la coca, la fidanzata mignotta (scusate, Escort) e le scommesse. Ne combina di tutti i colori, ma non è cattivo. Diciamo che la sua moralità finisce dove comincia il bisogno. Diciamo che è uno di quelli che cammina sul filo. Indaga a modo suo sull’omicidio di un’intera famiglia di senegalesi che deve aver pestato i piedi del solito boss del quartiere.
Herzog riprende il personaggio di Ferrara (Abel Ferrara. No Ciro. Men che meno Giuliano) per raccontarne grosso modo le stesse gesta.
Le scommesse, i pasticci e gli abusi son sempre quelli, ma è il timbro della storia ad essere differente. Se nel primo film le finali degli yankees scandivano il passo lento di una processione senza scampo, le partite di questo secondo capitolo offrono continue possibilità ad uno sbirro guascone e strafottente che trova la quadratura del cerchio in un finale, forse, affrettato.
Laddove l’Harvey Keithel di Ferrara (Sempre Abel. Non la città degli Estensi. Con le mura…il castello… le Mura… il Castello…le Mur) era un personaggio tragico ed epico, dolente nell’animo, sopraffatto da una notte alla quale tende e dalla quale fugge, il tenente di Nicolas Cage è un uomo forte e sicuro, piegato da un handicap che ormeggia al suolo un corpo che vorrebbe volare.
Herzog racconta la sua storia con una regia schietta, asciutta, buia quando serve. Pochi fronzoli nella narrazione, eccezion fatta per le curiose invadenze degli animali sulla scena dell’uomo. Serpi, alligatori, iguane, rettili per lo più, ma anche cani, e pesci. Istinti e riflessi di una natura che osserva e amministra al di là della morale e delle leggi.