Alice in Wonderland

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Inchiodata ad un sogno che non le da pace, Alice vive stretta dai desideri di chi la vuole come la vuole. Ad esempio di chi la vuole sposa inconsapevole di un insipido Pel di Carota. Così, frastornata da convenzioni che rifiuta, vedendo sfrecciare il Bianconiglio, pensa che in fondo, la migliore fuga è la fuga, e se ne lancia all’inseguimento, rincorrendolo nel bosco, fino alla buca che la riporterà nel Sottomondo, quel Paese delle Meraviglie che non ricorda di aver già visitato, ma i cui celebri abitanti l’attendono speranzosi. Il Regno vive infatti da tempo in un malinconico tramonto, sotto il giogo capriccioso della crudele Regina di Cuori. Ella, avvelenata dal suo aspetto grottesco, inganna il tempo tagliando teste, e si circonda di una corte di sgorbi che per compiacerla fingono, ma che, come tutti, le preferiscono la melliflua ed impalpabile Regina Bianca, rivale al trono e destinata a succederle da una profezia che assegna un ruolo cruciale proprio alla riluttante Alice. Dopo una prima parte tutto sommato divertente, in cui i personaggi principali vengono presentati man mano che ritrovano la loro beniamina, si racconta sbrigativamente il perchè e il percome le cose stiano come stiano e si chiarisce la missione che Alice è chiamata a compiere.
Accade così che nel meraviglioso scenario di Lewis Carrol, invece di cavalcare la Follia e la Fantasia per liberare una bambina dalla noia di un pomeriggio d’estate, ci si trovi poco a poco a costeggiare una strada fin troppo battuta. Un binario ferroso che costringe quella bimba ormai cresciuta, a recepire gli ordini di un destino già scritto. Alice fugge da un matrimonio organizzato a sua insaputa e da una vita di convenzioni, solo per trovarsi serva di un altro labirinto pensato per lei. Invischiata nei pasticci e nei guai di un mondo fantastico, smarrisce la sua curiosità, perde la caparbietà e rinuncia ai suoi valori, adeguandosi alle aspettative e soccombendo ai desideri di chi la vuole come la vuole. Invece delle staffe perde la stoffa, lasciando a poco a poco le sue vesti per indossare i panni pesanti di un guerriero ammazzadraghi.
È l’anima stessa dell’opera a venire snaturata, i personaggi sono richiamati nei ranghi, i nuovi ordini sono di disubbidire all’Anarchia per aiutare l’eroina a compiere il suo destino. Se ai tempi della prima visita Lo Stregatto, il Brucaliffo e il Bianconiglio, erano lasciati liberi di disorientare la protagonista e di fornire spunti fantasiosi alla vicenda per renderla ancor più incredibile e divertente, in questo “ritorno” sono tutti molto più compassati e, invece che confondere e destabilizzare, fanno a gara per aiutare e per spiegare. Spuntano Oracoli e draghi, armi fatate ed eserciti. Il surreale lascia il posto al sovrannaturale, il nonsense si piega alle regole della convenienza. Mentre il Paese delle Meraviglie diventa un Fantasy come tanti altri, la giovane ed irriverente Alice consuma la sua misera parabola tramutandosi in una scaltra donna d’affari votata alla conquista. Emblematica è la trasfigurazione del Cappellaio Matto, che, nella prova – per una volta – opaca di Johnny Depp, perde il carisma del gran cerimoniere di non-compleanni e l’enigmatica ambiguità del Folle super-partes che non risparmia nessuno, per incarnarsi – male – in una sorta di ribelle un po’ stravagante, suddito di Alice e della Regina Bianca. Proprio quest’ultima risulta il personaggio meno riuscito del film, reso da un Anne Hathaway sprecatissima, assolutamente fuori dalla parte, per nulla carismatica e molto poco credibile, per un ruolo insulso, creato ad hoc al solo scopo di giustificare la presenza di una sfida e dei due eserciti che la combattono.
Clamorosamente inspiegabile che l’artefice di questo scempio sia nientemeno che Tim Burton, il maestro che deve le sue fortune tanto alle caratteristiche visioni immaginifiche, quanto ad una poetica provocatoria e anticonformista. Del suo celebrato gusto per il macabro c’è ben poca traccia in questo lavoro, così come latita il fosco gioco di sfumature che rende adorabili i malvagi ed insopportabili i probi. Le invenzioni ed i tocchi di stile non mancano certo (lo Stregatto ed il fossato delle teste mozzate sopra tutti), ma si tratta per lo più del restyling e dell’adattamento di quanto già visto. Un parterre di personaggi azzeccatissimi, ormai parte del patrimonio fantastico di tutti, che il regista piega al servizi di una trama per nulla originale.
L’impressione è che per questo film sia stata chiesta una prestigiosa e luccicante firma d’autore, senza però avere il coraggio di corrompere col cuore oscuro di Burton l’immaginario collaudato e blindato dei fedelissimi Disney.
Peccato davvero che non si sia colta l’occasione di realizzare un progetto che sulla carta aveva tutti i presupposti per entusiasmare. Avremmo potuto assistere ad una corsa a rotta di collo in una pazzia visionaria, invece che a questo cauto e timorato scollinamento col freno a mano tirato.
Verrebbe da dire: Tagliategli la testa!!!

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