The Guilty – Il Colpevole –

7 Marzo 2019
Regia: Gustav Möller
Produzione: Danimarca, 2018 – 85’ –

“Le orecchie sono come i piedi”, ha detto la signora della fila davanti quando il film è cominciato, lievemente disturbata dal particolare del protagonista mentre indossa l’auricolare per il suo turno al call center del 112.
L’agente Asger Holm, matricola B2851, dimostra subito poca dimestichezza col lavoro, per rispondere a persone che chiamano agitate o spaventate i suoi modi sono troppo bruschi e la sua pazienza troppo poca. Si capisce presto che quello non è il suo lavoro, che è lì in punizione. Il giorno dopo si dovrà difendere in tribunale per un procedimento che verrà chiarito poi. Ma c’è poco tempo per farsi domande, perché il thriller ingrana subito, come una telefonata che ti arriva all’improvviso e ti attacca alla sedia. Ci sono una donna in pericolo e dei bimbi da soli, ma Asger sembra l’unico a darsi da fare per aiutarli, mentre i colleghi sono tutti trattenuti dalle procedure.
Con una struttura che non può non ricordare Locke (*) (bel film del 2013 con Tom Hardy che cerca di risolvere alcuni spinosissimi problemi parlando al telefono durante un viaggio in auto), il dramma spaventoso della giovane Iben e dei piccoli Oliver e Mathilde colpisce il poliziotto con una raffica di rasoiate che gli arrivano una dopo l’altra come le chiamate che si inseguono agitate. Nel frattempo lo spettatore fa conoscenza dei vari personaggi e piano piano ricostruisce il quadro generale.
Nel desolante vuoto pneumatico offerto dalle sale negli ultimi mesi (rispetto alla clamorosa stagione 2017/2018 quest’annata si sta rivelando estremamente deludente), The Guilty è qualcosa da non farsi scappare: un bel giallo, solido e convincente, che si regge tutto su una scrittura asciutta e precisa e sulla prova misurata e incisiva del suo protagonista Jakob Cedergren, che sfrutta al massimo ogni sfumatura concessa dal pochissimo margine a disposizione.
Dopo tutti gli ammiccamenti, gli effetti speciali, gli afflati politici e le speculazioni intimiste che stanno ingessando la cinematografia occidentale negli ultimi mesi (almeno quella mainstream), ecco un film che finalmente fa quello che deve e nient’altro. Si tiene nei suoi ottantacinque minuti, non usa una parola in più di quella che serve, non tortura a vanvera lo spettatore ma cerca di tenerlo vigile fino alla fine. A dirla tutta io in realtà ieri sera ero stanco morto e a un certo punto pensavo quasi di scappare a casa, ma avrei fatto male, perché mi sarei perso i vari colpi di coda che invece valgono proprio la pena.
Se vi siete stancati di filmetti innocui, ma avete paura di Lars Von Trier, date una chance a questi altri Danesi.

(*) lo dicono tutti, lo dico anche io.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. massimo gavina ha detto:

    Allora diamo chance. Se poi vuoi venire, una sera, in trattoria, dopo passeggiamo così digeriamo. Se è freddo non so… Devo dire che i tuoi articoli, io, li leggo sempre. E non per l’affetto verso l’autore, ma perché sono interessanti, oltre all’affetto verso l’autore al quale, oltre al mio affetto, vorrei dirgli che sono affezionato all’autore di questi articoli belli. Con affetto. M.

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